sabato 9 agosto 2014

"In your tiny eyes": Flash mob contro la Sagra dei osei di Sacile


Un flash mob contro la Sagra dei osei di Sacile: questa la singolare e iniziativa che ha avuto luogo nella notte dell'8 agosto a Pordenone, suscitando grande interesse.
Le associazioni Animalisti FVG e LAV, da anni impegnate sul fronte del NO a quella che è la più grande fiera ornitologico venatoria d'Italia, hanno dato vita ad alcune proiezioni a sorpresa in centro città con lo scopo di richiamare l'attenzione della cittadinanza e far riflettere su ciò essa realmente rappresenta: una "festa" in cui non si festeggia nulla, l’esaltazione della gabbia in cui migliaia di uccelli sono costretti a vivere per tutta la loro esistenza.
L'arte si fonde con la questione animale grazie alle splendide e toccanti immagini realizzate dall'artista visiva Tiziana Pers: il risultato è quello di focalizzare lo sguardo su un tema- quello della prigionia degli animali protagonisti della sagra- che da sempre organizzatori e sostenitori scelgono di non affrontare, negando una verità che da 741 anni è sotto gli occhi di tutti.



Queste le parole di Tiziana Pers:

"Nottetempo due disegni vengono proiettati a grandi dimensioni, alternati e dissolti l'uno nell'altro, in un luogo centrale di Pordenone.
In provincia di Pordenone si trova Sacile, paese dove annualmente si svolge la Sagra dei osei, un grande mercato a cielo aperto dove vengono venduti in piccolissime gabbie migliaia di uccelli, evento centrale per quanto concerne la vecchia pratica dei richiami vivi, le cui deroghe italiane per permettere la cattura in libertà sono tema dibattuto in questi giorni anche anche in sede europea.
Un disegno ritrae l’occhio spalancato di un bambino, nel cui riflesso vediamo le sbarre della gabbia. Attraverso le sbarre lo sguardo di un merlo s’incontra con quello del bimbo e, di riflesso, si rivolge a noi.
Il secondo disegno ritrae invece l’occhio di un merlo, nel cui riverbero leggiamo le sbarre della gabbia. Attraverso le medesime sbarre lo sguardo del bambino s’incrocia con quello del merlo, e, quindi, con il nostro.
Noi spettatori siamo, di volta in volta, merlo e bambino.

Spesso nei meccanismi sociali i dettagli rischiano di venire relegati in secondo piano, diventando gli aspetti più trascurati.
Eppure spesso è nel piccolo che vanno cercate le chiavi di lettura dei cortocircuiti della nostra quotidianità. Per riconoscere le radici della violenza molte volte è sufficiente soffermarci su quanto sta di fronte a noi, su ciò che rientra nella reiterazione dei gesti e delle abitudini.
L’idea di ingrandire a dismisura un dettaglio, conferendo monumentalità all’intimo gesto del disegno, si prospetta come una finestra e una lente su degli occhi che sovente non riconosciamo nella loro pienezza, ma che identifichiamo frettolosamente nella patina dei luoghi comuni: l’uccellino sta nella gabbia, il bambino si porta a vedere l’uccellino.
Quello che m’interessa indagare è: se li mettiamo a fuoco, se sfaldiamo i trascorsi incancreniti della consuetudine, siamo in grado poi di reggere il peso di quel duplice sguardo che si rivolge direttamente a ciascuno di noi?
Siamo in grado noi di ignorare quei minuscoli occhi di anime senza colpa intrappolate a vita?
E siamo in grado poi di sostenere con i nostri figli che questo è il futuro privo di compassione che stiamo consegnando nelle loro mani? Ma in fondo, non era anche la schiavitù una tradizione?
Lo sguardo per eccellenza rappresenta la prima forma di comunicazione non verbale, di comprensione dell’altro prima delle parole.
Ma quello del bambino e dell’uccellino, ingrandito e focalizzato, è il dialogo impossibile tra due innocenti, poiché mediato dalla violenza di una gabbia.

Mi domando se sia questo il momento in cui il sentire comune si riapproprierà della capacità di mettere a fuoco la violenza che stiamo infliggendo ai soggetti-di-una-vita, ed il desiderio di rimuovere le sbarre dagli occhi di entrambi, riconciliandoci finalmente con l’altro, diventerà volontà condivisa.
E mi domando anche se, dopo la distruzione di quella waste land che abbiamo progettato, sconfinato deserto tra noi e l’altro, un vero incontro sia ancora possibile.
Nello specifico la mia è una domanda rivolta prima di tutto a me stessa: il bambino ritratto è mio figlio di cinque anni, che fin da piccolissimo non sopportava di vedere gli uccelli chiusi in gabbia.
Il merlo invece è uno dei milioni di uccelli privati di identità e impiegati come richiami vivi.

Se il ruolo della cultura è quello di costruire le basi di un’umanità migliore, più consapevole e più critica verso se stessa e verso il rapporto con il resto del creato, allora forse anche il ruolo della tradizione necessita di essere rivoluzionato, partendo dagli spinte di ogni individuo che non si riconosca nelle zone d’ombra del proprio tempo."





Nessun commento:

Posta un commento