giovedì 29 novembre 2012

CORSO DI CUCINA VEGAN DI FINE 2012



CORSO DI CUCINA NATURALE VEGANO-VEGETARIANA
“…dai Piccoli ai grandi...”
con gli Orange Cheffes (Giacomo&Marianne)


MARTEDI' 4 DICEMBRE 
MENU’ “D'INIZIO INVERNO”: un menù completo ed equilibrato, dall'antipasto fino al dolce, per la nutrizione di tutti i giorni, per scoprire, per scaldare, per rinforzare, per rinvigorire, per finire l'autunno e per cominciare la stagione più fredda. Pietanze con soli alimenti di stagione, di origine regionale e biologico-naturali.GIOVEDI' 13 DICEMBRE
MENU’ “DELLA FESTA”: una serie di sorprendenti delizie gustose e divertenti, per onorare con il giusto gusto le festività della tradizione e di fine/inizio anno.
Nutrirsi con allegria, in compagnia, concedendosi qualche minuto di relax in più, mantenendo l'equilibrio dei piatti e lasciando inalterate le caratteristiche nutrizionali: dedichiamo del tempo per preparare con amore le pietanze che sazieranno le giornate di festa.



Ci incontriamo dalle ore 20.00
 presso
Nido d'Infanzia “FARFABRUCO” 
Viale Treviso 4, Pordenone

INFO e COSTI: giacomo.forato@libero.it - 3936100828 dopo le 18.30

mercoledì 21 novembre 2012

UN PATROCINIO NEGATO: LETTERA APERTA AL SINDACO E ALL'ASSESSORE ALLA CULTURA DEL COMUNE DI PORDENONE







Lettera aperta al Sindaco di Pordenone Dott. Claudio Pedrotti e all'Assessore alla Cultura Dott. Claudio Cattaruzza

Gentile Sindaco, Gentile Assessore,

con questa lettera aperta desideriamo esprimere il nostro disappunto e la nostra delusione per un patrocinio negato.
Ci riferiamo alla richiesta di patrocinio presentata mesi fa dalla nostra Associazione in occasione della Lectio Magistralis della Dott.ssa Melanie Joy, psicologa e autrice americana, che ha avuto luogo a Pordenone domenica 18 novembre.
Nelle settimane precedenti l'evento in questione, avendo appreso dai Vostri uffici che il patrocinio era stato negato, ci eravamo premurati di chiedere se fosse possibile quanto meno comprenderne la motivazione. Ci era stato riferito che avremmo ricevuto risposta scritta; ci veniva tuttavia fatto notare che il Comune generalmente non è obbligato a concedere il patrocinio, cosa di cui certamente eravamo già a conoscenza.
Ci siamo chiesti a lungo quale possa essere stato il motivo di un simile diniego, e francamente non riusciamo ancora a darci una risposta.
Le motivazioni che ci saremmo aspettati di ricevere non sono mai arrivate, al loro posto è arrivato solamente il bollettino per il pagamento della sala conferenze.
Per quanto un Comune possa essere libero di concedere o meno un patrocinio, crediamo che un paio di righe con le quali motivare tale rifiuto siano, quanto meno, un segno di cordialità e di rispetto verso i propri cittadini, che avrebbero, se non altro, il diritto di conoscere le ragioni che hanno spinto il Sindaco e l'Assessore alla Cultura a bocciare la loro richiesta.

Ci preme sottolineare che a spingere la nostra Associazione a chiedere patrocinio non è stata di certo una questione economica (a meno che non si voglia sostenere che la concessione di una sala e la stampa di qualche locandina, accordate a numerosissimi altri eventi in città, siano spese gravose per il bilancio comunale), bensì la consapevolezza di essere riusciti a portare a Pordenone una personalità conosciuta a livello internazionale e di chiara fama accademica.
Apporre il logo del Comune di Pordenone alla locandina dell'evento avrebbe significato, a nostro avviso, rendere omaggio e dare un segno di benvenuto ad un'ospite internazionale che arrivava nella nostra città.
Melanie Joy, formatasi ad Harvard, è una docente di psicologia e sociologia presso l’Università del Massachusetts (Boston), nonché apprezzata conferenziera.
Autrice di libri e articoli di psicologia sulla difesa degli animali e la giustizia sociale, tiene conferenze negli Stati Uniti e in tutto il mondo. E' intervistata sul suo lavoro da televisioni, riviste e radio, tra cui BBC, NPR, PBS e ABC.
Ma Pordenone, si potrebbe dire, è un'altra cosa.
La Lectio Magistralis della Dott.ssa Joy non è, evidentemente, abbastanza meritevole.

Sia bene inteso, non ci aspettavamo di certo che fosse ricevuta dal Sindaco o che le fossero conferite le chiavi della città, ma nemmeno una presa di distanze così inspiegabile.
La Dott.ssa Joy, giunta in Italia per ritirare un premio internazionale, ha tenuto conferenze anche a Milano, Varese e Padova; Comuni che, a differenza di Pordenone, non hanno
esitato a concedere il patrocinio all'iniziativa. Questo ci fa apparire ancora più incomprensibile la vostra decisione.
Avrete probabilmente fatto valutazioni diverse, non ritenendo opportuno sostenere la conferenza di Pordenone; ci preme tuttavia ricordare che la nostra città si fregia, a tutt'oggi, del logo "Città amica degli animali" e che il tema della Lectio Magistralis era, per l'appunto, incentrato sugli animali e sui loro diritti.    
L'incontro pubblico, nonostante l'indifferenza dimostrata dall'Amministrazione Comunale, ha avuto un'importante riscontro da parte della cittadinanza, con una sala gremita e numerosissime persone giunte da tutta la regione; c'è chi vi ha perfino dovuto rinunciare a causa della massiccia affluenza, a riprova dello spessore e dell'importanza di questo evento. 



Animalisti FVG

venerdì 16 novembre 2012

COMUNICATO STAMPA - MELANE JOY DOMENICA 18 NOVEMBRE A PORDENONE


Animalisti FVG, in collaborazione con Asinus Novus e Animal Studies, organizza una lectio magistralis con la psicologa e docente universitaria MELANIE JOY, autrice del libro

"PERCHÈ AMIAMO I CANI, MANGIAMO I MAIALI E INDOSSIAMO LE MUCCHE" (Ed. Sonda).

MELANIE JOY sarà in Italia dal 16 al 18 novembre per ritirare il premio EMPTY CAGES.


L’appuntamento a Pordenone è per
Domenica 18 novembre 2012 - ore 17.30
Sala Conferenze “Teresina Degan”
Biblioteca Civica di Pordenone
Piazza XX Settembre - 33170 Pordenone
Ingresso libero



L'autrice illustrerà e svilupperà il concetto di carnismo, termine da lei coniato, e presenterà al pubblico italiano il suo libro Perchè amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche (Ed. Sonda) ; un libro altamente significativo che potrebbe cambiare il modo in cui la società si pone sulla questione del mangiare gli animali.
Relatore dell'incontro il filosofo Leonardo Caffo.


Molti di noi inorridiscono al solo pensiero che a tavola ci possano servire carne di cane o di gatto. Il sistema di credenze alla base delle nostre abitudini alimentari si fonda infatti su un paradosso: reagiamo ai diversi tipi di carne perché percepiamo diversamente gli animali da cui essa deriva. In modo inconsapevole abbiamo aderito al carnismo, l’ideologia violenta che ci permette di mangiare la carne solo «perché le cose stanno così».
Melanie Joy analizza le motivazioni psicologiche e culturali di questa «dittatura della consuetudine» e della sua pervasività; di come, attraverso la rimozione, la negazione e l’occultamento dell’eccidio di miliardi di animali, il sistema in cui siamo immersi mantiene obnubilate le coscienze, fino a persuaderci che mangiare carne più volte al giorno sia naturale, normale e quindi necessario.
Intervistando i vari protagonisti dell’industria della carne, esaminando le cifre dei suoi profitti e dei suoi disastri ambientali, l'autrice ha messo in luce gli effetti collaterali sulle «altre» vittime: chi lavora negli allevamenti intensivi e nell’inferno dei mattatoi industriali di ogni latitudine; i consumatori sempre più esposti ai rischi di contaminazioni e insalubrità; l’ambiente, e il nostro futuro sul pianeta.


Melanie Joy si è formata ad Harvard ed è psicologa e docente di psicologia e sociologia presso l’Università del Massachusetts (Boston), nonché apprezzata conferenziera.
Autrice di una serie di articoli di psicologia, sulla difesa degli animali e la giustizia sociale, pubblicati su numerosi periodici e riviste, è la principale ricercatrice sul carnismo, l’ideologia che giustifica il mangiare la carne degli animali.
È stata intervistata sul suo lavoro da riviste e radio, tra cui la BBC, NPR, PBS e l’ABC Australia. Tiene conferenze in giro per gli Stati Uniti e in tutto il mondo.


Leonardo Caffo svolge una ricerca di dottorato in filosofia preso l'Università degli studi di Torino. Tra le sue pubblicazioni come autore, oltre articoli e recensioni, Soltanto per loro (Roma, 2011, 2012), Azioni e Natura umana, (Rimini, 2011), Flatus Vocis: breve invito all'agire animale (Aprilia, 2012) e La possibilità di cambiare: Azioni umane e libertà morali (Milano, 2012).
Collabora, inoltre, con radio, riviste e quotidiani, tra i quali, «Gli Altri» e «Lettera Internazionale».
Conduce la rubrica filosofica “Flatus Vocis” su Radio Hinterland (Milano).

martedì 13 novembre 2012

IL CARNISMO - INTERVISTA A MELANIE JOY



In attesa del tour italiano di Melanie Joy, psicologa e autrice americana che questa settimana terrà una serie di conferenze (a Padova, Milano, Varese e Pordenone)  vi proponiamo l'intervista gentilmente concessa prima dell'incontro pubblico che ospiteremo a Pordenone (domenica 18 novembre alle 17.30, Sala Conferenze "Teresina Degan" - Biblioteca Civica di Pordenone, Piazza XX Settembre) . 
Melany Joy illustrerà e svilupperà il concetto di carnismo, termine da lei coniato, e presenterà al pubblico italiano il suo libro Perchè amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche (Ed. Sonda) ; un libro altamente significativo che potrebbe cambiare il modo in cui la società si pone sulla questione del mangiare gli animali. 
Relatore dell'incontro sarà il filosofo Leonardo Caffo.

La gente tende spesso ad essere riluttante ai cambiamenti, soprattutto quando i cambiamenti implicano un doversi mettere in discussione (mettendo anche in discussione il contesto sociale di appartenenza). Oltre a ciò ci troviamo a lottare contro un sistema che trae enormi profitti dallo sfruttamento animale: le industrie hanno a disposizione potenti mezzi per mistificare la realtà, uno di essi è la pubblicità. Come sociologa, psicologa e attivista per i diritti animali, quale pensi sia la strategia migliore per superare questi ostacoli?

Melanie Joy:  Carnismo è il termine che ho usato per descrivere il sistema invisibile di credenze, o ideologia, che condiziona le persone a cibarsi di alcuni animali. Credo sia fondamentale che gli attivisti vegan comprendano appieno il carnismo e la sua struttura, per poter lavorare alla trasformazione del sistema che permette l'esistenza dell'industria zootecnica. L'industria zootecnica non esisterebbe se non fosse per il carnismo.

Il carnismo è un'ideologia violenta invisibile, dominante, strutturata in modo che le persone umane prendano parte a pratiche disumane senza rendersi pienamente conto di ciò che stanno facendo.

Al fine di mantenere se stesso, il carnismo si avvale di una serie di meccanismi di difesa sociale e psicologica, compreso il rifiuto / invisibilità, la giustificazione e le distorsioni cognitive (si insegna alle persone a percepire gli animali da allevamento come oggetti, astrazioni, come appartenenti a categorie rigide). Queste difese bloccano la consapevolezza delle persone e l'empatia verso gli animali, tanto da metterle a proprio agio nel mangiarli.

Un punto centrale dell'attivismo vegan, a mio avviso, deve essere la destabilizzazione delle le difese del carnismo, perché il sistema non potrebbe continuare a esistere senza tali difese. E un modo essenziale per destabilizzare queste difese è renderle visibili, esse perdono gran parte del loro potere quando sono poste in evidenza.



Solitamente quando una persona sceglie di leggere il tuo libro "perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche" o di partecipare a una tua conferenza, significa che già è in atto un processo che la spinge a pensare che "c'è qualcosa di sbagliato nel mondo". Sono però molte le persone che, inconsciamente o per scelta, non si pongono questo dilemma. Dovremmo sensibilizzarle una ad una o sono altre le strade utili da percorrere?

Melanie Joy : Io credo che il cambiamento debba essere sia individuale che sociale, credo che dobbiamo raggiungere le persone e allo stesso tempo sfidare le istituzioni sociali che sostengono il carnismo (questo duplice approccio caratterizza il lavoro che stiamo svolgendo con il Carnism Awareness and Action Network). 

Sia che ci impegniamo nell'attivismo mirato alla singola persona o in campagne istituzionali, può avere un senso da un punto di vista strategico concentrarci, in prima battuta, sui “frutti dell'albero più accessibili” - persone e istituzioni che hanno maggiore probabilità di essere ricettivi al nostro messaggio e alle nostre istanze.



Proviamo più facilmente empatia per chi ci è vicino e può ricambiarci. Maggiore è la distanza che ci separa da un individuo (indistintamente che si tratti di uomini o animali non umani), più è difficile provare empatia nei suoi confronti. Preso atto che ciò che spinge a considerare commestibili alcune specie anziché altre è frutto di una lunga serie di sovrastrutture, cosa spinge una persona a ritenere che “chiunque” vada rispettato, anche la creatura più lontana e sconosciuta?

Melanie Joy : Mentre è vero che tendiamo a provare empatia per coloro nei quali ci identifichiamo maggiormente- quelli che ci appaiono più “simili” a noi – ciò non significa che le persone pongano in automatico dei limiti alla propria empatia. Piuttosto, come suggerisce la mia ricerca, la gente impara a come non sentire la propria naturale empatia verso le specie che le è stato insegnato a classificare come commestibili. La maggior parte della gente sembra avere una naturale empatia verso gli animali non umani che, per fare un esempio, sanguinano proprio come noi. 

Ma quella dei diritti degli animali, così come tutte le questioni morali, possiede sia una componente emotiva che razionale. Non occorre provare un legame emotivo profondo con qualcuno per arrivare a ritenere ingiusto fargli del male a nostro beneficio.



Anche se la maggior parte dei tuoi scritti è incentrata sui diritti animali, sei da lungo tempo anche attivista per i diritti civili e tieni corsi che analizzano sistemi di privilegio e oppressione, violenza domestica e traumi psicologici. Esiste una relazione tra sfruttamento umano sfruttamento animale?

Melanie Joy : Assolutamente. Trasformare il carnismo non significa semplicemente modificare dei comportamenti individuali e sociali, ma anche coltivare un cambiamento di coscienza che ci porti a non arrogarci più il diritto di esercitare il controllo su chi ha meno potere. Si tratta di coltivare un modo di pensare e di relazionarci con noi stessi, gli altri e il mondo, che rifletta valori fondamentali come la compassione, l'empatia, la reciprocità, l'autenticità e la giustizia. Questa prospettiva è esattamente ciò che è necessario a trasformare tutti i sistemi di oppressione, perché se l'esperienza di ogni gruppo di vittime è sempre unica nel suo genere, la mentalità che consente l'oppressione è la stessa.

Diritti animali e giustizia sociale: due movimenti separati o viaggiano insieme?

Melanie Joy : Sono movimenti separati e allo stesso tempo interconnessi. A tutt'oggi il movimento per i diritti animali non è ancora pienamente integrato nella mappa dei movimenti di giustizia sociale, ma in realtà i diritti animali sono, essi stessi, un tema di giustizia sociale, i cui princìpi sono in linea con quelli di altri temi di giustizia sociale. Uno degli obiettivi principali del mio lavoro sul carnismo è stato quello di dimostrare che mangiare animali non è semplicemente una questione di etica personale, bensì l'inevitabile risultato finale di un “ismo” (dottrina) profondamente radicato, oppressivo; mangiare animali è un tema che tocca la giustizia sociale. Penso che una delle cose più importanti che possiamo fare per il movimento vegan - e per la giustizia sociale in generale – sia ottenere che il veganismo sia riconosciuto come vero movimento di giustizia sociale.


Che tipo di influenza ha il sistema economico sul carnismo?

Melanie Joy : Il sistema economico è, senza ombra di dubbio, un fattore importante che contribuisce al carnismo. Per fare un esempio, negli Stati Uniti l'industria zootecnica è un business da 125 miliardi dollari, sovvenzionato a mezzo di enormi sussidi (i finanziamenti all'industria della carne, delle uova e dei latticini sono una realtà comune anche ad altri paesi). In virtù di questo il costo degli alimenti di origine animale è basso e il carnismo diventa una strada facile da percorrere, la strada più facile di tutte. 

Più è difficile mangiare animali, più le persone saranno stimolate a cercare delle alternative.

Come se non bastasse, il capitalismo radicale è organizzato tutto attorno alla mercificazione della vita, rafforzando la percezione degli animali d'allevamento come semplici unità di produzione. Tuttavia è importante evidenziare che il carnismo si estende al di là del capitalismo; per esempio esso persiste anche in sistemi comunisti e socialisti.



Tom Regan parla di tre categorie di sostenitori dei diritti degli animali: davinciani, damasceni e temporeggiatori. A quale di queste tre categorie ti senti più vicina?

Melanie Joy : Mi definirei più una davinciana perché sono sempre stata molto sensibile alla sofferenza degli animali, sentendo un forte legame con tutti loro. Ero la bambina che salvava animali feriti, che li difendeva se avevano bisogno di protezione e li cercava come compagni di vita. Detto questo, essendo cresciuta in un radicato contesto carnivoro, perfino questa mia naturale empatia per gli animali non è stata sufficiente a vincere le mie difese carnistiche, motivandomi a diventare completamente vegan; lo sono diventata più avanti, da giovane. 

Sei nata in una famiglia di carnivori e tu stessa lo sei stata. Un giorno qualcosa è cambiato: cosa ti ha motivata a diventare vegan?


Melanie Joy : E' accaduto che sono stata veramente male per avere mangiato un hamburger contaminato; dopo questa esperienza ho smesso di mangiare carne e uova. Pochi anni dopo ho smesso anche di mangiare latticini. Non ho più mangiato carne perché ne ho iniziato a provare disgusto a causa della mia malattia, ma anche perché da tempo mi sentivo una "vegetariana intrappolata nel corpo di una carnivora", interessata al vegetarismo ma non ancora pronta a mettere in atto questo cambiamento. 

La malattia mi ha dato la motivazione di cui avevo bisogno per smettere di mangiare animali, e quando ho smesso di mangiarli mi sono informata a lungo sull'industria della carne; informazioni che erano sempre state a portata di mano, ma che prima non ero disposta a recepire veramente. Ciò che ho imparato mi ha spinta a voler fare tutto il possibile per cambiare il sistema che ha permesso questa brutalità.



I tuoi studi sono avvenuti in un ben preciso contesto sociale, ma le conclusioni che ne hai tratto possono valere per tutte le società oppure esistono eccezioni, totali o parziali?

Melanie Joy : Attraverso le mie ricerche ho scoperto che nelle culture carnivore di tutto il mondo le persone in genere hanno esperienze simili nel mangiare animali. Il tipo di specie consumato varia da cultura a cultura, ma la mentalità di base, che consente alle persone di mangiare animali, è incredibilmente ricorrente. Questo mio risultato è stato rafforzato dall'esperienza di aver parlato a platee e singoli individui in diversi paesi. Naturalmente il grado di difese carnistiche può differire da cultura a cultura.


Hai parlato di carnismo e presentato il tuo libro negli Stati Uniti e in altri paesi; esiste, secondo la tua esperienza, una cultura o una nazione in cui avverti maggiori possibilità di arrivare alla coscienza della gente?

Melanie Joy : Non ho ancora trovato un paese in particolare dove, rispetto ad altri paesi, avverto un maggiore impatto della consapevolezza sul carnismo.

Ad oggi le reazioni alla mia presentazione sono state assolutamente positive, in tutti i paesi che ho visitato. I paesi più piccoli sono riusciti ad ottenere l'attenzione dei media nazionali, un vantaggio eccezionale che ha diffuso maggiormente la consapevolezza.



Immaginiamo, per un attimo, il giorno in cui un grande leader politico si dovesse rendere conto di quanto il carnismo influenzi la nostra società, bollando lo sfruttamento animale come pratica inaccettabile. Credi che avrebbe una chance di cambiare il sistema o, piuttosto, la sua carriera politica sarebbe definitivamente compromessa?

Melanie Joy : Sono certa che verrà il giorno in cui i leader politici diventeranno consapevoli e attivi nella trasformazione del carnismo. Nondimeno, il veganismo è per molti versi un vero e proprio movimento popolare; il potere del movimento sta nelle sue radici, scaturisce dal basso verso l'alto, non in direzione contraria. Una rivoluzione vegan, come tutte le rivoluzioni consapevoli, sarà senza dubbio il risultato degli sforzi di molte persone che lavorano insieme, non avverrà per mano di un singolo individuo.

Molti sostengono che il movimento animalista abbia fatto notevoli progressi negli ultimi 25 anni. Qual è la tua opinione a riguardo? La nostra generazione può sperare di vedere il giorno della liberazione animale?

Melanie Joy : Non ci è dato sapere se vedremo la liberazione degli animali in questa generazione. 

Posso però dire che ci sono molte prove del fatto che il movimento vegan sia in espansione e che continuerà ad acquisire forza. Negli Stati Uniti il numero di vegani e vegetariani è raddoppiato tra il 2008 e il 2011. Sempre più medici, nutrizionisti, celebrità e leader sono diventati vegan, sostenendo il cambiamento. E questa è una tendenza che sembra essere in corso in molti paesi di tutto il mondo. Credo che ci siano buone ragioni, per gli attivisti, di essere fiduciosi; penso che ci stiamo muovendo nella giusta direzione e che, un giorno, la liberazione animale sarà davvero una realtà.

martedì 6 novembre 2012

RIFLESSIONI SULL'INCONTRO TRA GLI ATTIVISTI CHE SI È TENUTO IERI - di Rita Ciatti




di Rita Ciatti

Ieri ho partecipato ad un incontro tra gli attivisti di Roma e dintorni, sia singoli che appartenenti a varie associazioni. Un incontro organizzato da Grazia Mordenti, che sentitamente ringrazio, la quale ha avvertito l’esigenza di fare alcuni chiarimenti, nonché il punto della situazione, dopo i recenti fatti avvenuti a Correzzana durante la manifestazione contro la Harlan (su cui, peraltro, continuano ad esserci pareri discordanti perché non si è capito bene quali fossero le cause che hanno generato gli effetti resi noti e sulle quali, non essendo stata presente, non posso pronunciarmi). La questione che è stata urgentemente posta ieri però mi è sembrata sostanzialmente ridursi ad una e questo mi ha lasciato un po’ l’amaro in bocca perché mi ha dato l’impressione che, per quanto tutti i partecipanti siano mossi da un sincero entusiasmo e volontà di realizzare qualcosa di davvero significativo per la liberazione, ci sia carenza di preparazione teorica e di consapevolezza in merito agli obiettivi a lungo termine. E questo, secondo me, è gravissimo. Non si può fare attivismo cieco perché sarebbe come menare le mani senza sapere cosa si sta colpendo. E non basta dire che si è tutti impegnati per la liberazione animale se prima non si capisce in cosa consista questa liberazione. Prego chi legge di proseguire oltre senza darmi della supponente in maniera affrettata: io sono con tutti voi, io sono con chiunque voglia liberare gli animali umani e non umani dalle strutture del dominio, ma ieri si sono evidenziati alcuni errori troppo grossolani che mi preme mettere in luce, non già per criticare e basta (ché io non sono nessuno e non sono portatrice di nessuna verità), ma per costruire insieme qualcosa di significativamente solido e duraturo nel tempo ed anche comunque per riportare umilmente le mie impressioni. Qualcosa che davvero possa proseguire nel segno di una società nuova, finalmente liberata e quindi libera, e non che sia soltanto il far chiudere un singolo allevamento per mere questioni amministrative (com’è stato per Green Hill).

Come prima cosa ieri, sempre facendo riferimento a quanto avvenuto a Correzzana il 20 ottobre scorso, la maggioranza dei presenti si è dichiarata unanime nell’accogliere nella galassia attivismo (più che mai variegata ed ognuna con precise modalità di strategie) qualsiasi persona manifesti una seppure minima sensibilità animalista, senza tener conto dell’appartenenza politica. Si è ridotta insomma, a mio avviso abbastanza gravemente, la questione dell’antispecismo politico, ad una mera questione di tesseramento partitico. E, cosa ancor più grave, si è parlato di fascismo solo connotandolo come quella ideologia mussoliniana di cui, purtroppo, la storia del nostro paese (e non solo) è stata protagonista. Non è così. Il fascismo non è stato solo un limitato e triste periodo della nostra Storia, bensì è qualcosa che perdura ancora oggi nella sua estensione del termine ogni qual volta si attuano i dispositivi di dominio ed oppressione dell’altro. Persino i più aggiornati dizionari oggi riportano il doppio significato del termine “fascismo”. Quindi, fascista non è di default chi è iscritto alla destra piuttosto che alla sinistra, bensì colui che riproduce e conferma determinati meccanismi di dominio, quale sia lo schieramento politico cui appartiene. Fascista è chi a casa, nel privato, tiranneggia la propria compagna o compagno (ché il fascismo non è solo di segno maschile, pure se spesso coincide con il fallocentrismo e maschilismo), chi mostra o mette in atto atteggiamenti e comportamenti razzisti viziati dal pregiudizio, chi riconosce un principio di autorità superiore, chi nei fatti si appella appunto ad un certo autoritarismo per far valere il proprio potere e dominio. Inoltre, la politica non è solo una questione di tesseramento partitico, ma è l’agire in società, è qualsiasi azione sia volta ad un cambiamento dell’assetto sociale o intenda anche metterlo solo in discussione. Criticare l’assetto vigente è già fare politica. Il pensare è un atto politico. Il parlare e lo scrivere sono atti politici (per questo i regimi totalitari vietano persino l’esprimere pareri discordanti e mettono in atto una propaganda per dirottare ed incanalare il pensiero, indebolendone o soffocandone del tutto quella capacità volta ad un’elaborazione critica). Quindi, dispiace sentir dire che l’attivismo non debba essere politico o debba superare la politica, perché l’attivismo è per sua natura esso stesso politico.

Chiarito questo primo punto, mi preme definirne un altro, ossia cosa si debba intendere per liberazione animale e per antispecismo. Mi pare che ieri si sia fatta una certa fatica a comunicare proprio perché non è stata stabilita inizialmente una chiarezza terminologica, essenziale invece quando si comunica, altrimenti se io dico “frutto” intendendo “mela”, mentre l’altro intende “pera” è ovvio che non ci si potrà mai comprendere. Solo una ragazza ad un certo punto (non ricordo il nome) ha sollecitato di far chiarezza su questo punto, ma mi è parso che tutti avessero troppa ansia di concentrarsi solo sull’attivismo pratico, intendendolo come completamente avulso da qualsivoglia teoria a monte (altro errore, ma ci arriverò dopo). Per capire meglio cosa significa liberazione animale (sia dell’animale umano, che non umano, ed è così che io la intendo, chiariamolo definitivamente una volta per tutte) bisogna compiere lo sforzo di immaginarsi una rivoluzione culturale davvero di proporzioni statosferiche, forse davvero superiore a quella copernicana. Secondo me non abbiamo nemmeno ancora veramente l’idea di cosa significhi, non più di quanto un uomo del 1700 avrebbe potuto immaginare la nostra attuale società digitale. Eppure stiamo lavorando per questo. L’antispecismo, ossia quella teoria e prassi che si propone di abbattere lo specismo, intende proprio, come obiettivo ultimo, a lungo termine, realizzare una società in cui parole come dominio, oppressione, sfruttamento, schiavitù, discriminazione, sessismo, omofobia, razzismo, fascismo quindi nel suo senso più ampio, non significhino più nulla, se non il racconto residuale di qualcosa avvenuto tanto tempo fa ed ora completamente spazzato via. Non ha senso, in questa nuova società definirsi di destra o di sinistra semplicemente perché ormai termini inadeguati ed astorici nel rappresentare il nuovo stato di cose. Per combattere l’attuale specismo/antropocentrismo (termine in chi racchiudo tutto ciò che ho espresso sopra, quindi lo sfruttamento come prassi, il dominio, l’oppressione, la concezione di una società del potere distribuito piramidalmente – metaforicamente e magnificamente rappresentato attraverso l’immagine del famoso grattacielo di Horkheimer) bisogna aver ben chiari in mente quali siano i nostri obiettivi finali quindi, ossia quelli che porteranno alla decostruzione di quella prassi che si è andata strutturando nei secoli e che ha attraversato – cambiando nei modi, ma mai nella sostanza – più o meno tutti i sistemi societari che si sono succeduti nella storia. Se non si comprendono le cause che hanno portato all’attuale sistema (frutto o risultante anche collaterale degli altri che lo hanno preceduto), non si riuscirà nemmeno ad intravedere l’orizzonte verso cui tutti miriamo, se non in maniera molto vaga ed aleatoria. Come se ci si incamminasse lungo un sentiero senza aver chiara la destinazione finale. Ho avuto l’impressione che la maggior parte dei presenti ieri non avesse ben chiaro in mente cosa sia lo specismo in quanto effetto dei dispositivi di dominio antropocentrici che via via si sono andati strutturando nella storia; così come è emersa l’idea abbastanza diffusa che il sistema sia la semplice somma degli individui. Ora io nei giorni scorso ho scritto proprio un articolo in cui spiego che responsabile del sistema è anche il singolo, ma non in maniera automatica come si potrebbe tendenzialmente credere, essendo le dinamiche del dominio qualcosa di infinitamente più complesso del semplice atto dell’acquistare o meno il prodotto di una determinata azienda o multinazionale. Il singolo è responsabile, sì, ma non è la causa dello specismo, è uno dei suoi effetti (e per questo io insisto sul recupero della parola etica e sul percorrimento di un’evoluzione anche etica dell’umanità, diciamo parallelamente ad altre strategie; sia chiaro che io non considero lo specismo come frutto di un pregiudizio morale, ma ritengo che ci si possa appellare anche alla morale e consapevolezza del singolo per smantellarlo e per questo responsabilizzare il singolo, ossia renderlo consapevole, fargli comprendere l’interazione complessa del tutto – e non colpevolizzarlo o aggredirlo – , ritengo possa essere una strada da percorrere, quanto meno non dannosa). Le forme di dominio ed oppressione, paradossalmente, se pure si abolissero i macelli e gli allevamenti, potrebbero continuare in altre e ben più sottili forme. Faccio un esempio assai banale, ma utile a comprendere cosa sto dicendo: in tutta sincerità noi possiamo dire che l’abolizionismo abbia definitivamente spazzato via la schiavitù umana? Provate a rispondere. Certo, non esistono più gli schiavi con la catena al piede, non esiste più il commercio dei singoli africani venduti all’uomo bianco come merce, ma la schiavitù è ben lungi dall’essere scomparsa: essa è presente in forme assai più subdole e sottili; essa è presente fra gli operai degli stabilimenti in Cina costretti a lavorare 12 ore al giorno per una paga da fame; essa è presente fra i ragazzi sfruttati nei call-center per una paga irrisoria e senza garanzie a lungo termine; essa è presente intimamente in tutti coloro che si convincono che si debba accettare di essere sottopagati e sfruttati (magari lavorando anche gratis) perché è “meglio di niente”. Il lavoro è schiavitù. E quando parlo di lavoro non mi riferisco certo alle nobili attività, teoriche e pratiche, che l’essere umano è in grado di svolgere, bensì al circolo dei bisogni indotti artificialmente ed artificiosamente dal sistema per costringere il singolo a vivere per produrre e consumare. Questa è schiavitù. Ed il fine ultimo che si pone la liberazione animale è quello di eliminarla una volte per tutte. Vivere per lavorare facendo del denaro il metro di tutto è schiavitù. Ed accettare questo come se fosse un dato di fatto inoppugnabile è schiavitù mentale, ancor peggiore di quella materiale perché impedisce di immaginare uno stato di cose diverso, perché induce il singolo alla rassegnazione rendendolo incapace di intravedere una via di fuga.

Premesso quanto sopra detto, se c’è da andare a liberare un cane rinchiuso dentro una struttura, a me non importa se insieme a me viene il ragazzo con la tessera di Casa Pound o quello appena uscito da un centro sociale perché in quel preciso contestuale contingente obiettivo conta di portare a termine ciò che ci si è prefissi come scopo immediato (aprire la singola gabbia), ma che non ci si dimentichi che la liberazione animale è ben altro e che liberare i cani, ma inneggiare contro l’immigrato o i Rom, in realtà significa remare contro l’obiettivo ultimo e disperdere le proprie energie perché l’effetto del cane in gabbia è causato dal dominio ed oppressione dell’altro da sé (sia esso cane, gatto o extracomunitario).

Attenzione però a non commettere l’errore di pensare che dunque solo chi è di sinistra o simpatizzante comunista possa farsi promotore di una liberazione totale, semplicemente perché, come ho chiarito sopra, non è detto che chi frequenta certi ambienti di sinistra non possa manifestare comportamenti ugualmente fascisti. Quindi non si tratta di escludere alcuni da altri, quando di stabilire quale debba essere l’ideologia migliore per arrivare alla liberazione animale e questa non può essere che una sola: quella che contempla la fine di ogni dominio ed oppressione e che smantelli l’antropocentrismo.

Allora, mettiamola così, a manifestare contro la singola forma di sfruttamento animale (tipo contro la vivisezione ad esempio) o a presidiare il singolo allevamento, circo ecc. per me può venire chiunque, anche chi ha il panino col prosciutto dentro la borsetta o chi prova odio verso una determinata etnia, ma che sappia che ciò non potrà funzionare in vista di una liberazione totale. Perché non me la sentirei di scacciare chi mangia il prosciutto o chi è razzista? Intanto perché scacciandolo do prova io per prima di quell’atteggiamento di autoritaria esclusione che è fascismo inteso nella sua accezione più profonda, secondo poi perché (forse sono ingenua) immagino che chi mostra una certa apertura e sensibilità verso l’animale non umano, abbia dentro di sé i presupposti per poter superare i limiti angusti del proprio pensiero che lo portano ad essere razzista (o maschilista, omofobo). Intendiamoci: a me fa orrore camminare a fianco a chi è omofobo o razzista, ma se lo allontano divento io stessa artefice di quel fascismo che tanto deploro; se invece lo avvicino, mi lascio avvicinare, magari gli mostro il paradosso del voler liberare il cane ed al contempo inneggiare all’odio verso i Rom (per dirne una) o verso l’omosessuale, magari contribuisco a fargli comprendere i limiti del suo pensiero. Ho fiducia in quel metodo ermeneutico applicato alla comprensione della schiavitù animale di cui parlavo nell’articolo precedente.

Ultima cosa e poi chiudo: ieri quasi tutti i presenti hanno dato prova di una certa resistenza al solo sentir parlare di teoria. Come se l’attivismo fosse altro e dovesse essere completamente avulso dalla filosofia e pensiero teorico. Questo è un errore gravissimo. Ultimamente io ho parlato spesso dell’esigenza di dover fare attivismo, ho invitato a scendere sulla strada, ma sempre secondariamente e dopo aver acquisito una certa preparazione teorica. Se io imparo a guidare ma non conosco il codice della strada, rischio di andare a schiantarmi al primo incrocio che trovo. E questo perché guidare la macchina è qualcosa di molto più complesso del pigiare l’acceleratore ed il freno all’occorrenza. Guidare è comprendere il traffico e rispettarne il flusso secondo determinati parametri e per questo mi serve prima uno studio teorico. Inoltre se la nostra cultura è specista è anche perché, purtroppo, tutta la filosofia che ci ha preceduto ha contribuito ad informare una certa idea di mondo (pensiamo solo al peso che ha avuto la definizione dell’animale come automa di Cartesio ed in generale la concezione meccanicistica della natura e del suo essere una sorta di laboratorio nel quale dover sperimentare qualsiasi fenomeno); quindi il pensiero non è meno importante dell’azione, ma sempre la precede. Trovo, e me ne dispiaccio molto, che ci sia molta impreparazione teorica nell’attivismo italiano (almeno di Roma e dintorni, in generale dico, poi magari i singoli saranno pure preparatissimi), che abbia prevalso il diffuso convincimento che basti fare, agire, muoversi e che non serva elaborare prima una linea strategica teorica. E questo è un errore secondo me.

Ma come fare per costruire insieme un piano teorico se nemmeno risulta ben chiaro a tutti cosa significhi nel profondo il termine “fascismo” e cosa sia la liberazione animale?

La vera domanda che mi e vi faccio adesso è questa: può essere che si debba e possa accettare questa acerbità, immaturità nel movimento (ossia accettarla come stadio del nostro percorso volto alla liberazione finale) perché se continuiamo a fare critica ed autocritica rischiamo di bloccare l’entusiasmo sul nascere e di fermare questo ingrossamento delle fila che, anche sull’onda del successo di Green Hill, si sta verificando? Ce lo domandavamo ieri io e Leonora Pigliucci, dopo l’incontro (e la sollecito ad intervenire, non appena potrà, così come sollecito Barbara Balsamo, anch’ella presente ieri, nonché gli altri presenti). Ci siamo un po’ rese conto che questo ideale ultimo di una società liberata non avverrà dopodomani e che nemmeno siamo in grado di immaginarci come potrà essere una società davvero post-capitalista, post-sfruttamento del vivente. Se ci fermiamo a riflettere troppo non corriamo il rischio di perdere il treno? Al momento, in questo preciso momento storico, la situazione è quella che è (ossia c’è impreparazione teorica e scarsa capacità di immaginare cosa significhi veramente una società libera), ossia c’è una visione alquanto miope di quei meccanismi e di quelle cause che hanno nei millenni dato vita allo specismo: è giusto prenderne atto e lavorare con questi pochi scarsi strumenti che abbiamo, ossia avanzando a tastoni affetti da una certa miopia  – consci che ogni periodo storico ha i propri limiti – o dovremmo invece forzare in direzione di una maggiore consapevolezza del movimento? Dovremmo “educare” (ossia preparare teoricamente) gli attivisti? E come? A me la parola “educare” fa un po’ venire in mente certi bruttissimi momenti del passato. E a chi spetterebbe farlo, eventualmente, se continuano ad esserci varie concezioni dell’antispecismo (antispecismo metafisico, politico, debole ecc.)?

Come ho scritto sempre nel mio ultimo articolo, a me le battaglie parziali stanno pure bene, purché però non si perda di vista l’obiettivo finale e possano fungere, come nel circolo ermeneutico, ad ampliare la comprensione dell’intero fenomeno nella sua complessità; così come mi sta bene accogliere chi ha un’ideologia politica diversa dalla mia, purché abbia chiaro in mente gli obiettivi della nostra lotta, che debbono essere comuni. Perché se tizio pensa di poter liberare gli animali non umani, cercando al contempo di salvare il Capitale o di lasciare inalterati certi dispostivi di dominio perché farebbero comodo alla sua ideologia personale, allora non stiamo affatto combattendo la stessa battaglia e su questo c’è bisogno di far chiarezza. Per fare un esempio pratico, se il cattolico filo-vaticano viene a presidiare con me, mi sta bene, non voglio escluderlo, ma mi pare evidente che il mio ideale ultimo, essendo quello di una società libera dai dogmi, dai condizionamenti, NON verticistica, non omofoba, non sessista, non maschilista, non potrà mai coincidere con la sua ubbidienza ai principi della chiesa e del Vaticano o con la sua Fede in unica verità, quella emanata dalla bibbia. Nel mio ideale di mondo libero non c’è spazio per i dogmi, né per istituzioni dalla struttura verticistica. Quindi, in sostanza, l’antispecismo in cui io credo, è qualcosa di diverso da quello in cui crede il cattolico praticante osservante, suppongo, ferma restando la sua sincerità nel rifiuto dello sfruttamento degli animali ed il suo rispetto per i viventi senzienti. Può essere comunque utile procedere insieme almeno per un primo tratto di strada, almeno laddove i nostri obiettivi (limitati, parziali) convergono, tenendo ben presente che le nostre visioni e concezioni del mondo rimarranno profondamente diverse (e quindi, diverso anche l’ideale di una società futura)?

Una certa visione ideologica che sostiene il Capitale e la grossa finanza (non voglio parlare di destra perché esiste anche una destra sociale avversa al Capitale) come può coincidere con il mio ideale di liberazione animale? Allora, chi appartiene ad un certo schieramento politico, può anche provare empatia per gli animali non umani, essere contrario alla vivisezione, ma non potrà mai avere un ideale di liberazione totale come lo intendo io perché la sua visione miope lascerebbe inalterati certi dispositivi e meccanismi di dominio. Mi sta bene che venga a manifestare con me, che si lotti insieme per aprire concretamente qualche gabbia, ma che si chiaro che non stiamo combattendo la stessa battaglia.

Che al momento possa bastare questo? Procedere per un pezzettino di strada insieme, tutti quanti, senza escludere nessuno e poi si vedrà? Che per questo preciso momento storico, ancora acerbo ed impreparato teoricamente, basti intanto unire le forze per raggiungere qualche obiettivo?

Beh, io ho fatto lo sforzo fin qui di porre queste domande. Ora, per favore, che qualcuno provi a darmi qualche risposta.

fontehttp://asinusnovus.wordpress.com/2012/11/05/riflessioni-sullincontro-tra-gli-attivisti-che-si-e-tenuto-ieri/

lunedì 5 novembre 2012

COMUNICATO STAMPA - IL CORTEO CHE NON VOGLIAMO





Apprendiamo dagli organi di stampa che a giorni dovrebbe aver luogo a Pordenone un corteo dal titolo “casa nostra o casa loro ? riprendiamoci Pordenone”.
Potrà apparire insolito che un'associazione come la nostra, che si occupa di diritti animali, abbia qualcosa da dire in merito a questa vicenda.
Ma insolito non è, poiché il movimento per i diritti animali al quale ci ispiriamo è legato a doppio filo con una visione di opposizione a ogni forma di discriminazione e ingiustizia nei confronti dei più deboli; in tutto questo gli animali sono indubbiamente le prime vittime inascoltate, ma ciò non ci impedisce di riconoscere come la logica di sfruttamento animale e quella di sfruttamento umano abbiano una comune radice.

Desideriamo far riflettere i nostri concittadini su questo corteo e sul significato di espressioni come “casa nostra” e "riprendiamoci Pordenone" perché riteniamo che identificare un territorio geografico come proprietà inalienabile di alcuni a discapito di altri sia, di per sé, ingiusto; non vi è nulla, a nostro avviso, da riprendersi, poiché nulla è stato sottratto ad alcuno.
Ci troviamo ad abitare un pianeta che appartiene a tutti, animali umani e non umani; la logica che ci vede rivendicare un territorio, conquistato o da conquistare, non può andare nella direzione di una piena accettazione del diverso da noi.
La società che vorremmo non distingue tra specie e specie e mai lo potrebbe fare tra popoli, perché liberazione animale e liberazione umana sono per noi due facce di una stessa medaglia.

E' di questi giorni la notizia dell’ennesima tragedia nel mar Mediterraneo con la ormai immancabile conta dei morti: stiamo parlando di persone che hanno messo la propria vita in gioco nella speranza di poter avere un domani, sbarcando sulle coste Italiane non per rubarci case o lavoro; vivevano in paesi nei quali l’occidente ha negato loro la possibilità di un qualsiasi futuro, sfruttando territori per alimentare la nostra economia, insediando aziende (le nostre aziende) che producono beni (a noi destinati) sottopagando i lavoratori, ponendo le condizioni per una disperata ricerca di una vita dignitosa, alla quale chiunque al loro posto aspirerebbe.

A quanti si sentissero in qualche modo minacciati dagli stranieri chiediamo se davvero, e in tutta onestà, ritengono che qualcuno possa abbandonare la famiglia, i propri cari, la casa in cui ha vissuto, i luoghi e un idioma a lui familiari, per venire a Pordenone per il puro gusto di fare un torto ai Pordenonesi.
Un corteo anti immigrati sarebbe sempre cosa da cui prendere le distanze, a Pordenone e ovunque. Noi lo facciamo, e aggiungiamo: "riprendiamoci una società libera dall'odio".

domenica 4 novembre 2012

TOLOSA, MANIFESTAZIONE PER L'ABOLIZIONE DELL'ALIMENTAZIONE FORZATA E LA MESSA AL BANDO DEL "FOIE GRAS"




Pochi mesi fa, tra associazioni e liberi cittadini, si è costituito il “Collettivo Antispecista SMT511″, il cui primo fine è la denuncia della pratica dell’alimentazione forzata (gavage) ancora diffusissima nel sud-ovest della Francia.

Stiamo parlando di FOIE GRAS.
La produzione di foie gras richiede che ai volatili (anatre, oche) venga somministrato con la forza più cibo di quanto essi ne assumerebbero in natura. 
L'alimentazione consiste solitamente in grano bollito nel grasso (per facilitarne l'ingestione), e provoca grandi depositi di grasso nel fegato, ottenendo in tal modo la consistenza gelatinosa ricercata dalla gastronomia. 

Il cibo è veicolato tramite un imbuto equipaggiato di un lungo tubo di metallo di 20–30 cm, che immette il cibo direttamente nell'esofago dell'animale; se viene utilizzata una coclea l'alimentazione richiede dai 45 ai 60 secondi, mentre se si usa un sistema pneumatico bastano 2 o 3 secondi. L'inserimento e l'estrazione del tubo danneggiano le pareti della gola e dell'esofago, producendo irritazioni e ferite ed esponendo l'animale a rischi di infezioni. Inoltre, durante l'ingozzamento forzato, l'animale cerca di divincolarsi, rischiando sia la frattura del collo che la perforazione dell'esofago, e di conseguenza la morte. In caso di vomito, inoltre, l'animale rischia di morire per soffocamento. 

I produttori sostengono che durante l'alimentazione forzata vengono prese tutte le precauzioni per evitare di danneggiare l'esofago dell'animale e per evitare che questo si divincoli ma questo stile di alimentazione riduce moltissimo la vita media dell'animale, tanto che il tasso di mortalità è fino a 20 volte superiore alla norma.

Il "foie gras", é il fegato malato di un palmipede scientemente torturato, il capriccio sadico che infligge infinita sofferenza a milioni di esseri sensibili, senzienti, COSCIENTI. 


La pratica dell'alimentazione forzata è indegna e
 illegale.


Per denunciare lo scandaloso ritardo 
della legislazione francese 
in materia di rispetto ed etica verso gli altri animali.

Per sostenere la decisione della California 
ed auspicarla a tutto il mondo.

Per rivendicare il civico divieto di questo orrore.

ci uniamo all'appello di Collectif Antispeciste SMT511 
invitando cittadini e cittadine d'Europa
a radunarsi a TOLOSA il 25 novembre alle ore 10.00

per esprimere la loro indignazione, 
la loro opposizione a questa vergogna 
principalmente francese ma anche spagnola, 
ungherese, canadese. 



FOIE GRAS, VERGOGNA EUROPEA

segui l'evento su Facebook 

venerdì 2 novembre 2012

INCONTRO CON MELANIE JOY A PORDENONE





                                        
Animalisti FVG in collaborazione con Asinus Novus 
è lieta di invitarvi all'incontro con MELANIE JOY, autrice di

"PERCHÈ AMIAMO I CANI, 
MANGIAMO I MAIALI E INDOSSIAMO LE MUCCHE"


Domenica 18 novembre 2012 - ore 17.30
Sala Conferenze “Teresina Degan”
Biblioteca Civica di Pordenone
Piazza XX Settembre - 33170 Pordenone
Ingresso libero

L'autrice illustrerà e svilupperà il concetto di carnismo, termine da lei coniato, e presenterà al pubblico italiano il suo libro Perchè amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche (Ed. Sonda) ; un libro altamente significativo che potrebbe cambiare il modo in cui la società si pone sulla questione del mangiare gli animali. Relatore dell'incontro il filosofo Leonardo Caffo.


Molti di noi inorridiscono al solo pensiero che a tavola ci possano servire carne di cane o di gatto. 
Il sistema di credenze alla base delle nostre abitudini alimentari si fonda infatti su un paradosso: reagiamo ai diversi tipi di carne perché percepiamo diversamente gli animali da cui essa deriva. In modo inconsapevole abbiamo aderito al carnismo, l’ideologia violenta che ci permette di mangiare la carne solo «perché le cose stanno così».
Melanie Joy analizza le motivazioni psicologiche e culturali di questa «dittatura della consuetudine» e della sua pervasività; di come, attraverso la rimozione, la negazione e l’occultamento dell’eccidio di miliardi di animali, il sistema in cui siamo immersi mantiene obnubilate le coscienze, fino a persuaderci che mangiare carne più volte al giorno sia naturale, normale e quindi necessario.
Intervistando i vari protagonisti dell’industria della carne, esaminando le cifre dei suoi profitti e dei suoi disastri ambientali, l'autrice ha messo in luce gli effetti collaterali sulle «altre» vittime: chi lavora negli allevamenti intensivi e nell’inferno dei mattatoi industriali di ogni latitudine; i consumatori sempre più esposti ai rischi di contaminazioni e insalubrità; l’ambiente, e il nostro futuro sul pianeta.


Melanie Joy si è formata ad Harvard ed è psicologa e docente di psicologia e sociologia presso l’Università del Massachusetts (Boston), nonché apprezzata conferenziera.
Autrice di una serie di articoli di psicologia, sulla difesa degli animali e la giustizia sociale, pubblicati su numerosi periodici e riviste, è la principale ricercatrice sul carnismo, l’ideologia che giustifica il mangiare la carne degli animali.
È stata intervistata sul suo lavoro da riviste e radio, tra cui la BBC, NPR, PBS e l’ABC Australia. Tiene conferenze in giro per gli Stati Uniti e in tutto il mondo.

Leonardo Caffo svolge una ricerca di dottorato in filosofia preso l'Università degli studi di Torino. Tra le sue pubblicazioni come autore, oltre articoli e recensioni, Soltanto per loro (Roma, 2011, 2012), Azioni e Natura umana, (Rimini, 2011), Flatus Vocis: breve invito all'agire animale (Aprilia, 2012) e La possibilità di cambiare: Azioni umane e libertà morali (Milano, 2012). 
Collabora, inoltre, con radio, riviste e quotidiani, tra i quali, «Gli Altri» e «Lettera Internazionale». 
Conduce la rubrica filosofica “Flatus Vocis” su Radio Hinterland (Milano).

A SEGUIRE: CENA VEGAN CON MELANIE JOY E LEONARDO CAFFO


link all'evento su Facebook:


CORSO DI CUCINA NATURALE VEGANO-VEGETARIANA



CORSO DI CUCINA NATURALE VEGANO-VEGETARIANA
“…dai Piccoli ai grandi...”
con gli Orange Cheffes (Giacomo&Marianne)


GIOVEDI' 15 NOVEMBRE
MENU’ “A TUTTA ZUCCA”: dall’antipasto al dolce un menù completo, per tutte le età e per tutti i gusti, con la regina più arancione di tutte le     regine: la zucca.


MARTEDI' 4 DICEMBRE (DATA DA CONFERMARE!)
MENU’ “INVERNALE”: un menù completo ed equilibrato per la nutrizione di tutti i     giorni, per scoprire, scaldare, rinforzare, rinvigorire nella stagione più fredda.


GIOVEDI' 13 DICEMBRE
MENU’ “DELLA FESTA”: una serie di sorprendenti delizie gustose e divertenti, per onorare con il giusto gusto le feste della tradizione e di fine/inizio anno.



Ci incontriamo dalle ore 20.00
 presso
Asilo Nido “FARFABRUCO” 
in Viale Treviso 4, Pordenone

INFO e COSTI: giacomo.forato@libero.it - 3936100828 dopo le 18.30