La nostra visione del cavallo parte da un fondamento che si discosta notevolmente da quello che ispira buona parte del mondo equestre, ovvero quello del cavallo “da lavoro” o comunque da utilità, ancorché non professionale o sportiva, che vede nell’animale un mero strumento la cui vita è strettamente collegata al suo utilizzo. Questo approccio è sostenuto e incentivato dalle pratiche tradizionali di doma e addestramento, anche quelle cosiddette “dolci” o etologiche, perché in fondo, seppure con metodiche diverse, richiedono al cavallo una prestazione, e preparano il cavallo a fornire questa prestazione a favore dell’umano.
La stragrande maggioranza delle persone che si avvicina a questo animale, lo fa attraverso strutture – come i maneggi – dove i cavalli vengono utilizzati per l’equitazione e dunque diventa “normale” assegnare al cavallo un ruolo di questo tipo, così come diventa “normale” la sua scuderizzazione e l’uso di strumenti (come i ferri e le imboccature) ideati con lo scopo di facilitare quanto più possibile il cavaliere nelle attività equestri, cioè per trasmettere meglio i comandi ed esercitare il massimo controllo sul cavallo.
Del resto, le parole doma e addestramento indicano chiaramente che l’azione dell’uomo sull’animale è coercitiva, tanto sotto il profilo fisico quanto sotto quello psicologico, e da questa azione l’animale non ha alcuna possibilità di sottrarsi: privato della sua natura selvaggia, asservito all’uomo, condizionato nei comportamenti, addestrato in attività che non sono affatto naturali, costretto a vivere in ambienti inidonei per la sua etologia, il cavallo diventa semplicemente uno strumento, con un compito ben preciso, e cioè quello di portare sulla sua schiena l’essere umano.
Queste azioni vengono poste in essere tanto dalla doma tradizionale, quanto da quella “dolce”, pur riconoscendo a quest’ultima un intento almeno iniziale di maggior rispetto del cavallo, ideando tecniche che non comprendessero brutali maltrattamenti fisici, ma basate sul gioco e sul condizionamento con ricompensa. Tuttavia, è opinione di molti etologi che la doma dolce metta sotto notevole pressione psicologica il cavallo ed è stato rilevato come moltissimi istruttori di queste scuole utilizzino anche metodi violenti su cavalli poco inclini a una rapida sottomissione.
Il problema vero e cruciale del cavallo è appunto questo: il fatto che debba essere sottomesso, in qualche modo.
E la sua sottomissione è indispensabile perché l’uomo lo possa cavalcare e utilizzare nelle molteplici discipline equestri, professionali e non.
Quando il nostro interesse per un cavallo nasce dall’intento di usarlo, succede che nel momento in cui l’animale non è più in grado di assolvere a questo compito diventa un peso di cui doversi liberare.
I cavalli sportivi, ad esempio, una volta a fine carriera, vengono riciclati per altre attività meno impegnative sotto il profilo fisico, e così via al diminuire delle loro prestazioni, fino a quando non sono completamente inutilizzabili.
Il macello è spesso la destinazione finale dei cavalli che hanno lavorato una vita intera per l’uomo, e ci riferiamo anche a quelli di privati che praticano l’equitazione e che “rottamano” il cavallo quando non è più montabile.
Certamente esistono molte persone che continuano a mantenere per la vita il proprio cavallo, pur avendone fatto un utilizzo, ma è molto diffusa l’abitudine di disfarsi del vecchio per prendere il nuovo, con il quale continuare a praticare l’amato sport.
Basta guardare qualsiasi sito di annunci e gli appelli che arrivano alle associazioni animaliste per rendersi conto di quanto sia radicata questa mentalità, a volte anche intrisa di ipocrisia, spacciando la cessione come un atto amorevole per evitare al cavallo di finire appeso alle gancinaie di un mattatoio, mentre invece è solo l’espressione di una mentalità egoista e indifferente. Non tutti, infatti, ritengono ragionevole spendere dei soldi per dare da mangiare e curare un cavallo che in cambio non può più offrire nulla.
In questo panorama, dovendo affidare cavalli provenienti da sequestri per maltrattamento, dati in custodia e poi in proprietà alla nostra associazione, abbiamo scelto di seguire l’approccio zoo antropologico, grazie alla preziosa collaborazione di EquinSenseExperience del dott. Francesco de Giorgio.
La zoo antropologia si basa sulla vera relazione uomo-cavallo, diffondendo una cultura equestre che consideri il cavallo nella sua soggettività, diversità e peculiarità, e lo veda coinvolto nella relazione come partner e non come semplice mezzo da utilizzare o erogatore di performance. Nella pratica, l’approccio zooantropologico è caratterizzato proprio dall’attribuire molto meno importanza alle tecniche di condizionamento comportamentista e meccanicista, dando valore invece ad un approccio basato sull’esperienza, sulla relazione e sullo sviluppo cognitivo del cavallo.
I nostri cavalli, quindi, non vengono domati e addestrati per renderli montabili e affidati come cavalli da sella.
Chi decide di prendere in adozione un cavallo della LAV deve innanzi tutto rientrare in una visione non utilitaristica dell’animale e avere come prima motivazione il desiderio di accoglierlo nella propria famiglia per amarlo e dargli una seconda possibilità di vita, senza considerazioni di razza, età o bellezza. Attraverso il programma di adozione, la LAV si prefigge come obiettivo un profondo cambiamento del mondo del cavallo, incentivando e sostenendo la gestione naturale, il piede scalzo, la zoo antropologia, l’adozione, e favorendo la diffusione delle corrette nozioni sul cavallo e sulla sua etologia.
Un altro elemento fondamentale che deve caratterizzare l’affidatario è il senso di responsabilità: adottare non è solo un atto d’amore, ma anche consapevolezza delle proprie scelte e determinazione nel portarle avanti.
Purtroppo capita ancora troppo spesso che nel decidere di prendere con sé un qualsiasi animale si sia spinti da motivazioni superficiali, senza tenere in considerazione fattori che potrebbero causare problemi di convivenza, oppure pensando che, alla mal parata, la soluzione rapida sia quella di restituire al mittente l’animale. Proprio perché gli animali sono completamente dipendenti da noi e subiscono le conseguenze delle nostre scelte, dobbiamo essere maggiormente responsabili e ponderare bene le nostre decisioni.
La scoperta di un nuovo rapporto con il cavallo è possibile ed è solo così che si potrà spezzare la triste catena che tiene prigionieri migliaia di cavalli, relegandoli al ruolo di bicicletta vivente. Abbiamo il dovere di restituire dignità e benessere a questo straordinario animale, capace di accompagnarci in un percorso di crescita comune e di inesauribile amore.
Nadia Zurlo
Resp. Naz. Settore Equidi - LAV