Orlando Orfei con Papa Giovanni XXIII immagine: wikipedia.org |
domenica scorsa ho avuto il piacere di incontrarvi in occasione della presentazione del mio libro e abbiamo parlato assieme di Apparati Ideologici di Stato althusseriani che, interferendo molto presto nella nostra esistenza e operando su delicate e complesse dinamiche psicologiche transferali, hanno la funzione di riprodurre e perpetrare uno status quo culturale economicamente e politicamente conveniente al sistema che essi rappresentano, un sistema fondato evidentemente su una logica di dominio, sovranità e sfruttamento (animale, ambientale, umano).
Apparati che, come abbiamo visto, usano ampiamente concetti quali tradizione e cultura per mantenere un controllo costante, capillare e invisibile sulle nostre esistenze, le nostre abitudini, i nostri bisogni, i nostri pensieri, i nostri sentimenti; un controllo fortemente repressivo e autoritario che, come dicevo nel mio articolo sulla 'Sagra dei Osei', si avvale di strumenti psicologici di coercizione molto efficaci e totalitari come il doppio legame.
La funzione di questi apparati è quella di annientare il nostro senso critico, dialettico, la nostra immaginazione e intelligenza, è quella di renderci apaticamente miopi e recettivi, di mortificare la spontaneità, le idee, la volontà, l'entusiasmo e la forza creativa, instradandoci in sentieri e percorsi già tracciati e omologati, sicuri e innocui per il sistema. La loro funzione è quella di renderci disattenti, disinteressati, egoisti.
Ma come operano questi apparati? Vogliamo ricordarlo ancora?
Essi non fanno che reiterare i processi mentali e le dinamiche psicologiche che, sin dalla nascita, per fugare uno stato d'ansia trasmessoci empaticamente dalla madre che si sente responsabile della sua 'devozione' (per citare Winnicott) davanti al suo ambiente sociale, portano a costituire in noi un sistema volto a selezionare e salvare situazioni e comportamenti esclusivamente rassicuranti e gratificanti e ad allontanare e dimenticare ogni altro comportamento che possa portare ansia e disapprovazione.
E' da questa rosa, da questo campionario molto limitato di comportamenti omologati, che noi quotidianamente ripeschiamo le nostre risposte alle diverse situazioni interpersonali che ci si presentano, nei rapporti con gli altri.
Modelli altamente infantili e personali perché è durante la nostra infanzia che si formano e consolidano come comportamenti volti a gratificare le persone di volta in volta più importanti (la madre in primis, il padre, la maestra, il parroco etc.).
Modelli autistici in questa loro completa dissociazione temporale dalla situazione reale hic et nunc: integrazioni e risposte fantastiche che distorcono e velano, che rileggono la situazione reale in termini di infantile sicurezza e per questo ideologiche che tuttavia hanno un loro effetto e riscontro concreto e pratico perché guidano il nostro comportamento e le nostre azioni.
Gli apparati ideologici, metamorfosi sociali delle persone più importanti della nostra infanzia (madre/famiglia, parroco/chiesa, maestra/Scuola), non attendono altro che l'occasione di accecarci con le immagini e i miti della nostra stessa infanzia, riducendoci in uno stato di felice e infantile autismo che non ha più la forza né l'energia di affrontare e vedere obiettivamente il reale anche perché, come diceva Adolph Meyer, l'abitudine col tempo si deteriora. In altre parole gli apparati ideologici surdeterminano politicamente il ricordo per cui quello che viene tramandato o inerisce all'infanzia è politicamente necessario e giusto, è naturale, e normale.
Perché ho voluto qui ripetere delle cose già scritte e dette proprio a Pordenone pochi giorni fa?
Perchè purtroppo solo dopo il nostro incontro, ho avuto modo di leggere alcune dichiarazioni di Sandro Sandrin (presidente di “Euro '92 Eventi” nonché referente della Libreria Vaticana nella vostra città il cui Festival, quest'anno, sostiene l'arrivo del circo Medrano ai primi di novembre) e del monsignor Giancarlo Perego (direttore generale della Fondazione Migrantes, organismo pastorale della CEI, che si schiera assieme ai vescovi contro gli incentivi anti-circhi con animali) sulla questione del circo in città dopo gli incresciosi avvenimenti del 30 marzo scorso.
Dichiarazioni che io ritengo veri e propri esempi da manuale di quanto detto sopra circa la cultura e la tradizione come strumenti ideologici e repressivi.
Sia Sandrin che monsignor Perego si fanno portavoce della Chiesa e salutano l'arrivo del circo Medrano a Pordenone come prologo all'incontro tra il papa e i circensi che si terrà in dicembre a Roma.
Ma leggiamo queste dichiarazioni:
“La storia del circo e quella di Pordenone- scrive Sandrin- sono intrecciate. Non conoscere questo significa non conoscere la città (…) Pordenone ha un'antica amicizia col mondo dei circensi. Il circo Togni, dal dopoguerra in poi, è sempre venuto in città. Prima in via Roma, poi nell'area dove oggi c'è il tribunale e poi in viale Libertà. Quando ero bambino io, gli animali arrivavano in treno e attraversavano le vie di Pordenone: era una festa. Gli anziani di piazza della Motta raccontavano questo rapporto di amicizia cresciuto nel tempo e ce lo hanno tramandato come un valore (…) Va ricordato che nel cimitero monumentale, entrando a sinistra, le prime tombe che si trovano sono proprio quelle dei Togni, a indicare il legame con Pordenone”.
I ricordi d'infanzia di Sandrin, l'arrivo di questi animali in treno quasi come dei gitanti con tanto di valigia e maggiordomo, la loro parata per le città, una festa agli occhi di un bambino in un dopoguerra neorealista, felliniano; e poi i vecchi di piazza della Motta con i loro racconti tramandanti valori, “le tombe di due capostipiti della storica famiglia Togni, una figlia dei quali è sposata con il patron del Medrano, all'ingresso del cimitero monumentale di via dei Cappuccini entrando a sinistra” sembrano pagine tratte dalla Saga dei Sartoris di Faulkner.
Quanta immaginazione, quanta poesia per nascondere prima di tutto a se stessi lo sfruttamento e la sofferenza di diverse specie animali, colli di giraffe che svettano sul viadotto del raccordo autostradale, una deprimente e poco estetica invasione di manifesti spesso abusivi in ogni angolo della città e su ogni lampione e, infine, non certo per importanza, l'aggressione violenta che pochi mesi fa tre ragazze e due ragazzi che manifestavano pacificamente contro il circo hanno subìto da parte di sei circensi e il fatto che proprio in concomitanza dell'arrivo del circo in città fra pochi giorni, il titolare del circo Medrano dovrà presentarsi a processo a Padova per rispondere all'accusa di maltrattamenti. E' questo il mondo che secondo Sandrin merita rispetto?
Egli ci parla dal mondo, oggi autistico e fantastico, della sua infanzia che pretende di erigere a cosmo quando ammonisce “non è il caso che il Comune citi in giudizio nessuno, né si costituisca parte civile in un processo” o addirittura identifica con l'entusiasmo di un bimbo la storia del circo con la storia di una città. E' questo il suo autismo: il contrapporre e dare valenza reale e opportunità politica ad un suo ricordo che non ha più alcun correlato con la realtà.
In realtà il circo è un'attività commerciale come le altre; deve rispondere legalmente dell'aggressione dei cinque ragazzi, pagare la tassa sulle affissioni e sapersi confrontare e rispondere in maniera civile alle obiettive e veridiche denunce della controparte animalista. Non può godere dell'immunità solo perché abita i nostri ricordi d'infanzia.
Il fatto che il circo sia sempre venuto in città e che sia stato tramandato come un valore dai vecchi di piazza della Motta, che dei monumenti sepolcrali perpetuino foscolianamente la memoria dei suoi capostipiti o, a maggior ragione, che Sandrin lo ricordi come una festa non sono elementi fondanti della sua apoditticità: il suo ricordo sicuro, concluso, claustrofobico e familiare, la sua infanzia tenta di assorbire l'istanza destabilizzante e rinnovatrice (evoluzionaria) della denuncia animalista in quanto critica alla cultura; una surdeterminazione emotiva e nostalgica, un ricordo d'infanzia ha il potere politico di conferire immunità ad una situazione che necessiterebbe, come direbbe Lacan, di un'oggettivazione superiore, di una coscienza critica e paradigmi intellettivi superiori.
Abbiamo a diretto e reale confronto la Pordenone del dopoguerra con gli animali del circo che arrivavano in treno e sfilavano per la città e le istanze più evolute di coscienza animalista.
Alla fine, dopo aver preteso che la realtà ruoti attorno ai suoi ricordi d'infanzia identificando, come abbiamo detto, la storia della città con la storia del circo, Sandrin dà dell'incredibile al fatto che il sindaco Pedrotti abbia convocato una conferenza stampa per parlare del circo, quando i problemi della città son ben altri; ovvero, possiamo ora esserne certi, questa contraddizione ci dice che l'unico circo esistente nel cervello di Sandrin resta quello del dopoguerra, della sua infanzia, una realtà di settanta anni fa che non aveva da rapportarsi con una certa sensibilità verso il mondo animale che possiamo avere oggi.
Ora sentiamo monsignor Giancarlo Perego assieme ai vescovi contro gli incentivi anti-circhi con animali (1) :
“I graduali incentivi verso attività circensi e spettacoli viaggianti senza animali determinano una scelta culturale precisa che non corrisponde alla storia del circo italiano e non favorisce certamente un corretto rapporto tra uomo e animale (…) spiace che, ancora una volta, un tassello importante e riconosciuto della storia e della cultura italiana venga offeso e sacrificato alla luce di scelte ideologiche (…) la valorizzazione di un mondo animale 'amico dell'uomo', compagno di strada per tante persone e famiglie dello spettacolo viaggiante, con l'attenzione educativa al mondo dei bambini e ragazzi, paradossalmente viene sacrificata, impedendo di fatto di investire in spettacoli e attrazioni in cui possano essere protagonisti gli animali stessi (…) il circo ha guardato agli animali come alla risorsa più importante del proprio lavoro e dello spettacolo”.
Qui abbiamo a che fare con la più completa confusione terminologica: l'espressione 'scelta culturale' è, a mio avviso inappropriata in quanto una scelta che non si allinea al continuum storico-ideologico a cui appartiene (tradizione=cultura) e, anzi, ne segna una rottura o ne prende le distanze, non può dirsi culturale; è una contraddizione in terminis.
Questa scelta, opzione di deliberata divergenza dalla cultura-storia-tradizione, non può dirsi neppure ideologica poiché una presa di coscienza animalista al giorno d'oggi e nella nostra società non può definirsi nè culturale né ideologica: è pura prassi dialettica, critica.
Può darsi certo l'esistenza di una tradizione culturale che abbia sempre incentivato attività circensi e spettacoli viaggianti senza animali: ma in tal caso sarebbe inappropriato l'uso del verbo “determinare” e si dovrebbe dire “appartenere” poiché una scelta non può che inserirsi, contrapporsi o chiudere un continuum storico che si definisca culturale ma non potrà mai aprirlo.
In poche parole non si sceglie la cultura ma una scelta può appartenere o meno o rompere una certa cultura-tradizione.
E' un sottile tranello linguistico che trasforma una semplice scelta di politica fiscale in punto di origine di un'immagine speculare di una storia e cultura, di una tradizione del tutto contrapposta economicamente e politicamente alla nostra.
Terminologia imprecisa che inaugura una successione di gravi distorsioni ideologiche troppo grossolane per passare inosservate anche al lettore più ingenuo, affermazioni nate dalla malafede di una logica sfruttatrice che si tradisce definendo gli animali come risorsa.
Questa logica ci sta dicendo con un gran giro di parole che il solo rapporto corretto tra uomo e animale è quello che ci è presentato al circo: l'animale in gabbia e l'uomo con la frusta; ci vuol far credere che l'animale del circo è l'amico e il compagno di strada del circense e che il circo possa in qualche modo educare i bambini e i ragazzi esibendo animali strappati al loro habitat naturale, alla loro nudità, alle loro posture naturali, la cui esistenza è stata ridotta a mera reazione meccanica e seriale alla paura.
Il circo è la metafora della società umana: ciò che possiamo vedere non sono degli animali ma una semplice e universale situazione politica dove lo sfruttatore ha la frusta o il dolcetto e lo sfruttato sempre le catene o la museruola.
Questo insegna il circo: l'inesorabile logica umana.
E' evidente che sia Sandrin che monsignor Perego hanno il preciso e mirato compito, in un contesto più ampio, di parlare all'utente medio del mezzo informativo (altro apparato ideologico), all'opinione pubblica, di far girare un po' la giostra dei loro ricordi e di farci sbirciare nel caleidoscopio della loro infanzia (la frusta e la catena hanno forse educato il monsignore o sono a suo parere mezzi educativi?): perchè chi li delega sa bene che nel ricordo di ognuno di noi c'è una domenica pomeriggio ormai persa nel tempo passata con i nostri genitori sotto il tendone del circo in un campetto subito fuori del paese, c'è il circo alla tv sotto Natale, un vecchio film di Stanlio e Ollio o una comica muta che ci ha fatto sempre ridere con il suo orango vestito da ballerina, c'è Il piccolo pagliaccio di De Amicis.
E' così che noi ci sentiamo a casa nostra e chiudiamo la porta al minimo giro d'aria, al primo soffio di cambiamento, di miglioramento.
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Due strumenti ideologici le parole di Sandrin e di monsignor Perego con una precisa funzione (relazioni pubbliche) nel contesto di quella vera e propria crociata che è La pastorale nei circhi e nei lunapark della 'Fondazione Migrantes CEI' della quale entrambi si fanno portavoce.
Innanzitutto vediamo l'immagine che la Pastorale ha del circo:
“Lo stesso Gesù, missionario itinerante per tutta la sua vita pubblica che “percorreva tutte le città e villaggi” (Mt 10,35) non avendo spesso una pietra dove posare il capo (Lc 9,58) è emblema di tanta gente dello spettacolo viaggiante che non ha una dimora fissa e spende tanta parte della sua giornata sulla strada; gente che stenta sempre più a trovare una piazza dove sistemare roulotte e attrezzature di lavoro proprio come il bambino di Betlemme per il quale non c'era posto nell'alloggio (Lc 2,7) e chissà per quanto tempo nella sua prima infanzia è rimasto assieme alla sua Famiglia in una dimora che meritasse il nome di casa.” (Pastorale pag. 5)
e ancora:
Abramo, uscito dalla sua terra verso altra terra ignota, viene descritto dimorante sotto la tenda (Gen 18,1 ss) e dovette più volte 'levare le tende' (Gen 20,1)
I circensi vivono peregrinando quasi sempre estranei alla società (...) privi di qualsiasi assistenza (Pastorale pag. 6)
“il ragazzo del circo vive in maniera molto simile a quella indicata da Cristo... Cristo era una persona capace di radunare attorno a sé altre persone con lo stesso obiettivo, quello di portare gioia e di insegnare alla gente. (Anche) il circense porta un messaggio e cerca di offrire svago e felicità”. (pag. 36)
“Visto che G. Cristo era un leader capace di formare un'aggregazione così grande di persone, mi piace immaginarlo come il più grande <direttore> di circo di tutto il mondo, cioè di una carovana di persone coscienti di essere solamente di passaggio in questo mondo, che però vuole migliorare portando insegnamento e felicità”(pag. 36)
“Questo popolo ci ripropone il diritto-dovere del riposo, la bellezza dello svago, valori altamente umani anche oggi, ma che ci riportano ai tempi felici dell'innocenza originale, quando il Dio della creazione passeggiava, in certo senso faceva festa, nell'Eden col primo uomo: questo popolo che professionalmente è gente dello spettacolo e della festa, con quanto soprattutto nei giorni di festa offre al pubblico, richiama la cultura, la spiritualità del settimo giorno”(pag. 37)
e la Pastorale si conclude con le parole di Giovanni Paolo II:
“A questo crescente spostamento di gente la Chiesa guarda con simpatia e favore... perchè in esso scorge l'immagine di se stessa, popolo peregrinante”.(pag. 37)
Forti sovrapposizioni ideologiche e immaginative (popolo d'Israele, Abramo, Sacra Famiglia, Gesù Cristo, Chiesa e Dio) volte forse ad un'azione di politica interna di autoconvincimento della Chiesa e dei suoi apparati evangelici più periferici ad inaugurare una pastorale verso un gruppo sociale che è, nel testo che stiamo leggendo, palesemente considerato inferiore: anche San Giovanni Bosco “il giocoliere di Dio”, “il prete saltimbanco” già da giovanissimo, per conquistarsi i compagni e tenerli sulla giusta strada, imparò a fare il saltimbanco, sembra consolarsi la Chiesa, e Don Dino Torreggiani era l'apostolo delle carovane (pag. 30).
Non a caso segue una vera e propria fenomenologia antropologica della vita quotidiana del circo (vedi il IV paragrafo intitolato Aspetti tipici della loro personalità e professione) per valutare la possibilità e l'economia di un eventuale processo evangelico; si osserva da vicino il circense per assicurarsi che abbia delle qualità che sono molto generiche e universali all'interno della specie umana, presupposti essenziali per la ricezione del messaggio evangelico. Eccone una lista:
amore della famiglia, senso dell'amicizia, coraggio, generosità, dedizione al lavoro, impegno costante anche nella fatica, attenzione ai deboli, rispetto per gli anziani, vicinanza ai malati, solidarietà nella malattia, condivisione delle disgrazie, dei lutti ma anche dei lieti eventi, volontà di dare senso alla vita, solidarietà di gruppo, fiducia, ascolto degli altri e dialogo, legame profondo con i propri defunti
“gente dal volto molto umano, come era molto umano il volto di Gesu di Nazareth” è la conclusione dell' indagine fenomenologica: anzi
“Ci sono, invece, vari aspetti peculiari della loro vita, della loro mentalità, che possono essere utilizzati a livello di catechesi...la famiglia struttura portante, il viaggio, il tipo di lavoro che svolgono che può diventare una missione (“portare gioia e festa”)”(pag. 25)
addirittura un valore altamente antropologico ed etico dello spettacolo itinerante, una dimensione salvifica-escatologica poiché circo e lunapark servono ad avviare un processo di guarigione di un'umanità sofferente, la 'guarigione ultima' che va identificata nella salvezza eterna. (pag. 13)
Quindi anche fieranti e circensi sono destinatari dell'annuncio della Parola poiché anche loro devono suscitare quella “compassione” che il Signore sentiva per le “pecore sperdute della casa di Israele”; bisogna, scrive il documento, tenere aperta la porta dell'ovile per queste pecore che rischiano di rimanere allo sbando o almeno troppo alla periferia dell'ovile. (pag. 26)
Qui inizia la vera e propria crociata e il VI Paragrafo della Pastorale (Servizio pastorale specifico per Fieranti e Circensi) ne è il manifesto programmatico ritenendo necessaria all'intervento propriamente pastorale un'azione culturale ed educativa a largo raggio e assieme un'opera basilare di prima o almeno di nuova evangelizzazione (pag. 15) (sottolineatura mia):
“In nessun modo lo sforzo pedagogico può condurre alla negazione del loro patrimonio spirituale: è un principio basilare il rispetto e la valorizzazione di tutto ciò che, nella loro cultura, e nelle loro tradizioni, è compatibile con il vangelo e la morale cristiana. La chiarezza di concetto e di linguaggio induce pertanto ad abbandonare termini come... assimilazione, che legittimano in qualche modo procedimenti forzati, diretti o indiretti. Ha invece valore l'impegno per il libero inserimento, che tien in onore la loro originaria identità”(pag. 15) (sottolineatura mia).
Di seguito la Pastorale, in pagine che ricordano i diari dei vecchi conquistadores spagnoli nelle Nuove Americhe, traccia il programma d'attuazione di questo libero inserimento ad uso degli apostoli che dovranno fare opera di promozione umana (pag. 27):
- purificazione su quanto non possa accordarsi con la fede e pratica cristiana tenendo conto che la religiosità di questi gruppi nasconde una tradizione pagana, talora carica di superstizioni, con elementi di sincretismo o concessioni a riti magici
- si tratta di cristianizzare non solo i singoli ma la stessa cultura del gruppo etnico
- cristianizzare progressivamente i costumi e, più profondamente, l'universo culturale di questi gruppi
- purificare il contenuto religioso originale e dei riti nei quali si esprime
- riproporre il kerigma ripercorendo l'iter dell'iniziazione cristiana
- introdurre la consuetudine della preghiera familiare
- riflettere su un problema che diventa sempre più preoccupante: il rischio, cioè a cui sono esposti molti migranti di perdere la propria fede cristiana ad opera di sette e di movimenti religiosi in continua proliferazione perché “non giova certo alla crescita della fede un cambiamento di appartenenza a una determinata Chiesa o comunità ecclesiale, dato che tra queste e la Chiesa cattolica vi sono importanti divergenze (...) E' da evitare dunque anche la contemporanea frequentazione di due o più Chiese” (pag. 18).
- Sono da evitare quindi le sette o religioni alternative.
Viene dato un testo per il catechismo dei bambini In cammino con Gesù per portare gioia e festa destinato ai ragazzi dei circhi e dei lunapark e si raccomanda agli 'apostoli' di far presa sulla donna, più sensibile ai valori religiosi, più predisposta ad essere educatrice nella fede. (pag. 32)
Oltre ai giovani e alla donna la terza categoria oggetto e soggetto di pastorale specifica è la famiglia:
“Si è sempre detto, e lo si deve ripetere a titolo particolare per il mondo dei Circensi e Fieranti, che la famiglia, oltre che la prima cellula della società, è pure la prima comunità educante e spesso rimane l'unica”(pag. 31)
Famiglia che nel mondo circense è forse più che altrove unita, compatta, allargata: nel piccolo mondo della carovana, vero nido familiare, il nucleo familiare si estende ai parenti e persino ai nonni che godono di rispetto e venerazione; ciò accresce il senso di vicinanza e di reciproca appartenenza. In più, la casa della famiglia è per i circensi luogo di lavoro e il lavoro stesso elemento unificante della famiglia.
La Chiesa come evangelizzazione consegna il suo apostolato alla famiglia come apparato ideologico più importante.
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“La fondazione “Migrantes” è l'organismo costituito dalla Conferenza Episcopale Italiana per accompagnare e sostenere le Chiese particolari nella conoscenza, nell'opera di evangelizzazione e nella cura pastorale dei migranti italiani e stranieri” (pag. 20).
E' quindi questa la realtà che sta dietro a Sandrin e a monsignor Perego e con la quale noi animalisti tentiamo inutilmente di dialogare!
L'evangelizzazione è imperialismo, colonialismo, espansionismo, sovranità, autorità, dispotismo, totalitarismo, cecità, superbia, completa indifferenza, disprezzo e discredito dell'Altro (sia questo un'etnia, una specie, una religione), guerra fredda che si serve degli umili valori popolari e di miserie sociali come l'ignoranza, la descolarizzazione, la superstizione, la dipendenza dalla necessità di un lavoro per poter condurre la sua battaglia.
Ecco a chi tenta inutilmente di parlare la nostra evoluta coscienza animalista che non ha bisogno di essere blasfema verso se stessa per fondare le proprie convinzioni!
Evoluta coscienza animalista perchè abbiamo il privilegio di poter guardare dritto negli occhi l'Altro (di qualsiasi specie animale esso sia) che soffre, che dipende da noi, che è più sfortunato di noi e sentirci un poco meno responsabili del suo dolore e della sua sofferenza.
Monsignor Luigi Negri, vescovo di San Marino e Montefeltro, nonché membro effettivo del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, “uomo di profonda cultura”, un paio di anni fa definì l'animalismo “l'idolatria del terzo millennio” che, come tutti gli -ismi, nasconde un sostanziale squilibrio all'interno dell'uomo. Rinvio all'intervista rilasciata a Claudio Monti quale autentico breviario di stupidità e non-sense fondate sulla cattiva fede e su fonti di dubbia onestà intellettuale. (http://www.circo.it/lanimalismo-e-lidolatria-del-terzo-millennio/)
La fortuna di questi signori è che gli stessi migranti quasi sempre, come lor signori ben sanno dalle loro ricerche antropologiche, non hanno né il tempo, né la voglia, né la preparazione per leggere la loro Pastorale; la loro vera integrazione nella società, la loro vera salvezza e redenzione sarebbe essere in grado di leggere quelle pagine e allora sì che questa simbiosi ideologica Chiesa-Circo che ci fa tanto pensare in questi giorni scoppierebbe come una bolla di sapone.
Per concludere, è evidente, dall'analisi della Pastorale, come questi organi ecclesiastici non abbiano alcun interesse a un colloquio dove non ci sia possibilità e terreno fertile per l'evangelizzazione come opera di assimilazione e controllo sovrano delle coscienze. Per loro il dialogo è esclusivamente missione evangelica come espansione imperialista della loro Chiesa, pulizia ed epurazione di ogni manifestazione del totalmente Altro.
La coscienza animalista come riconoscimento e rispetto dell'Altro e dell'alterità nell'altro (sofferenza e morte nell'animale) assurge a una coscienza superiore ed è quindi arido deserto, per pura refrattarietà per la subdola e falsa missione evangelica.
Come d'altra parte la capacità di ascoltare della Chiesa è pregiudicata dalla sua coscienza antropocentrica e sovrana.
E' quindi, tutto sommato, una perdita di tempo tentare un colloquio con la Chiesa e le sue realtà evangeliche nonché un privilegio per noi animalisti non aver bisogno della falsa parola dei suoi apostoli.
Rodrigo Codermatz
(1) Sempre in tema di finanziamenti, il vescovo di Pordenone, Giuseppe Pellegrini, prima di dire che è indegno dell'uomo spendere per gli animali somme che andrebbero destinate a sollevare la miseria di altri uomini, sappia che nel 2013 i finanziamenti pubblici in Italia destinati alle attività circensi e di spettacolo viaggiante risalgono a ben 5 447 081,86 euro.
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