Nell'anno di Expo, a ciascuno la propria "fetta" di profitto.
Un grande evento, grandi nomi e grande partecipazione quest'anno a San Daniele: aria di festa, aria di Friuli Venezia Giulia, aria di Expo, aria di grandi introiti - una "papabile" occasione che pochi hanno scelto di rigettare.
E mentre, sulla pelle di oltre un milione di maiali (2,5 milioni di cosce prodotte ), la presenza di chi è pronto a portare a casa qualcosa per sé (il cachet per un concerto, una partecipazione, uno spazio in vetrina) è numerosa, poche sono le voci di dissenso.
Ci chiediamo, e lo chiediamo a chi ci legge, come mai in questi giorni si fa (giustamente) un gran parlare della strage di cani al Festival di Yulin, mentre le celebrazioni di una colossale, sistematica e quotidiana mattanza (330 milioni di euro il giro d’affari, 4100 allevatori, 65 macelli, 650 addetti, 31 stabilimenti produttivi ) che avranno luogo a San Daniele del Friuli (UD) dal 26 al 29 giugno 2015, sembrano non indignare nessuno.
Forse perché di maiali si tratta e non di cani?
Perché a San Daniele si espone il "prodotto" finito - la carne - e nessun maiale ancora vivo viene ucciso sotto gli occhi dei clienti? Perché gli allevamenti e i macelli stanno altrove, lontano dagli occhi e lontano dal cuore?
Forse, in parte. Ma queste motivazioni non possono di certo spiegare "l'aria di silenzio", che gravita attorno a questo evento, da parte delle associazioni animaliste e dei singoli attivisti presenti nel territorio.
Aderire ad una campagna bella e pronta, come quella portata avanti - con immensa fatica - dagli attivisti cinesi (ricordiamo che essere attivisti in Cina oggi richiede grande impegno e coraggio, lo ribadiamo anche per chi non ha di meglio da fare che sciorinare slogan razzisti) è indubbiamente più facile rispetto al doversi rimboccare le maniche e attivare in prima persona. Questo potrebbe essere un buon motivo, però non ci soddisfa ancora.
Forse l'immensa disparità di forze rispetto ai forti poteri economici contro cui stiamo combattendo (che, anche grazie al disperato bisogno di aggregazione delle genti, si comprano tutto e tutti, compreso il sempre utile marchio "di tradizione") troppo spesso ci lascia muti, spegne i sogni in cambio di più facili ritorni, vittorie che non sono vittorie, onori che non sono onori.
Questa non vuole essere una critica: si tratta di riflessioni che in primis poniamo a noi stessi e che desideriamo condividere con chi legge.
Vorremmo che San Daniele non si dimenticasse mai: quest'aria di festa ha l'odore acido della disperazione dei maiali, trascina con sé l'eco delle grida nei macelli. Ha il volto contratto di vite appese a un gancio, ha i colori che vedete.
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