Sono queste le vere vittime della caccia, che non balzano mai, come si dice, “agli onori delle cronache”, come sta succedendo in questo periodo ad altre vittime come Adamas o l'operaio Gianfranco Barsi di Lucca.
Ci chiediamo se i colpevoli siano soltanto i cacciatori, i singoli, o se queste morti possano essere imputate anche a qualcun altro.
E la risposta più che ovvia non può essere altro che questa: il cacciatore con la sua tracotante sicurezza, con la sua aggressiva arroganza, con la sua crudele volontà di uccidere, è ben sicuro della sua impunità perché sa, come dovremmo sapere anche noi, di essere solo la punta dell'iceberg di un sistema basato sul dominio del forte sul debole, su un'oligarchia che fa della limitazione della libertà il suo principio costituente, lasciando la maggioranza inerme in balia di una minoranza armata, sulla connivenza e omertà istituzionalizzate.
Ci chiediamo quindi se gli italiani siano veramente contro la caccia. I cacciatori sono una minoranza, con un trend in calo continuo (le stime parlano di un numero di circa 700 mila cacciatori), la maggior parte degli italiani sembrerebbe essere contraria alla caccia. (1)
Ma se è veramente così perché i cacciatori possono continuare indisturbati nella loro opera di sterminio, perché noi dobbiamo rimanere prigionieri di un regime terrorista?
Non sarà forse perché gli stessi che si dichiarano contro la caccia poi vanno la domenica negli agriturismi a ordinare cervo, fagiano o pappardelle con ragù di cinghiale, senza interrogarsi sulla provenienza di quel che hanno ordinato, senza rendersi conto che sono loro stessi i mandanti di quelle stragi? E neppure gli organi preposti ai controlli sembrano chiedersi da dove arriva quella cacciagione.
Certamente le centinaia di migliaia di animali cacciati non possono essere tutte destinate al consumo personale dei cacciatori! Quindi è legittimo pensare che parte delle loro prede sia venduto ad amici, parenti e attività come ristoranti e agriturismi.
A questo punto si affollano alla nostra mente (e probabilmente solo alla nostra, non a quella dei consumatori e dei controllori) una serie di domande: vengono effettuati controlli fiscali su cacciatori e ristoratori? In un regime di paura, che impedisce ad un genitore di portare all'asilo una torta preparata in casa per il compleanno del figlioletto, perché potrebbe essere pericolosa, la carne di animali selvatici (quindi non vaccinati né visitati da un veterinario) è igienicamente sicura? Viene controllata? E le macellazioni come si svolgono? Non ci sono forse delle leggi che regolano le macellazioni casalinghe?
Tutte queste questioni, seppure importanti, non sono fondamentali nella lotta antispecista alla caccia, ma potrebbero costituire un'ulteriore arma per smuovere le istituzioni, a prendere una posizione chiara e chiarificatrice in merito.
Un altro motivo, per cui i cacciatori possono continuare a seminare paura e morte, è la connivenza degli agricoltori che, attraverso le associazioni di categoria2, sono i primi a rivolgersi ai cacciatori per risolvere i loro “problemi”: non c'è momento in cui non si senta parlare di ingenti danni all'agricoltura perpetrati da nutrie, ungulati, corvidi, etc. E chi è il salvatore, il supereroe, che può ristabilire il “giusto” equilibrio (di fatto un dis-equilibrio tutto sbilanciato verso l'uomo) se non il cacciatore con la sua doppietta?
E' inutile lamentarsi che i cacciatori possono accedere e spadroneggiare nei fondi privati, quando sono gli stessi proprietari (o almeno la gran parte di essi) a invitarli e proteggerli quali paladini della loro attività.
Infine c'è ancora un fattore che conferisce tanta libertà ai cacciatori, è il più subdolo, il più diffuso: la paura. E quando la paura porta all'apatia, alla mancanza di ribellione, all'inattività, è connivenza.
Anche noi abbiamo paura, noi, antispecisti, che viviamo circondati da riserve di caccia private, che viviamo con cani e gatti e temiamo per la loro vita e che, per questo, non osiamo protestare direttamente contro i cacciatori, boicottarli e disturbarli. Perciò è arrivato il momento di stringerci e fare fronte comune: ma le veglie e le fiaccolate pacifiche e silenziose non bastano più. Abbiamo voglia di urlare perché agli animali non è concesso il tempo di farlo. Bisogna sabotare l'ideologia e l'esistenza di questi criminali.
Dobbiamo inoltre approfittare delle tristi cronache di questi giorni, per enfatizzare e portare a saturazione, per incrinare la tolleranza e la sopportazione non solo degli antispecisti, ma anche della “gente comune”, perché i cacciatori non possano più rifugiarsi tra le gonne dello stato e della vigente giurisdizione. Dobbiamo far assurgere le nostre convinzioni antispeciste e le nostre convinzioni altamente morali, civili ed etiche allo status di richiesta di asilo politico in un paese “democratico”, con la coscienza che le nostre istanze vanno contro gli interessi (anche economici) e la follia istituzionalizzata, che si sta erigendo a vera e propria polizia politica con il benestare dello stato stesso.
Per tutti questi motivi i processi per l'assassinio di Adamas e per il tentato omicidio dell'operaio di Lucca costituiscono un'occasione e una responsabilità per i giudici che presiederanno i rispettivi processi: non solo dovranno giudicare questi due assassinii, ma dovranno anche decidere la sorte di tutti noi, dovranno decidere se le campagne, i boschi, le zone paludose e rurali, continueranno a essere il nostro far-west frequentato da gente armata, pericolosa e intoccabile.
Purtroppo i processi si svolgeranno quando la rabbia e l'indignazione saranno affievolite, molti avranno già dimenticato Adamas, la stagione di caccia sarà ormai chiusa, tutte le altre vittime ”selvatiche” saranno passate inosservate, o, peggio, macabramente digerite.
Ma ogni sentenza crea un precedente e apre un nuovo scenario su cui si muovono gli attori delle vicende.
Sicuramente Adamas non è la vittima di Lucca e il verdetto non sarà lo stesso. Per arrivare allo stesso verdetto ci vorrebbero delle leggi nuove; al cambiamento, alla rivoluzione (se mai potrà avvenire) si può arrivare solo con il concorrere di diversi disequilibri strutturali: pensiamo ad un paesaggio epigenetico dove una pallina, muovendosi, crea dei punti di instabilità, delle biforcazioni, dei creodi, delle valli, dei punti di sella. E' necessario il concorrere di eventi disarmonici, che facciano precipitare gli eventi, che conducano a dei punti catastrofici che, modificando la situazione reale e attuale, sintetizzino, incanalandole, tutte quelle forze cieche e isolate, che trovano la loro coesione solo a posteriori, riprese da un ultimo punto di equilibrio.
Purtroppo, come abbiamo visto nel caso degli attivisti di Green Hill processati alcuni giorni fa, allo stato attuale non possiamo aspettarci niente dalle istituzioni. La sentenza di condanna dei liberatori a prima vista può sembrare strana, ma in realtà, tutelando la proprietà privata, tranquillizza il cittadino: l'assoluzione, invece, sarebbe stata destabilizzante in quanto avrebbe assicurato una certa impunità a chi volesse ergersi come paladino della giustizia animale.
Anche la sentenza di condanna dei proprietari di Green Hill e la conseguente chiusura dell'allevamento rientrano nel sistema: la mobilitazione di massa ha portato all'accoglienza di istanze popolari non prettamente antispeciste e antivivisezioniste. Purtroppo il salvataggio dei beagles di Green Hill non ha condotto ad una discussione sulla necessità e soprattutto sulla leicità della vivisezione tout court, ma ha portato ad una sostituzione delle vittime, in un perpetrare dello specismo ideologico su cui sui basa la nostra società.
E questo temiamo accadrà anche per il processo di Adamas, viste anche le premesse dell'imputazione: se non fosse così tragico, ci porterebbe quasi a sorridere amaramente. L'assassino di Adamas è stato accusato di “uccisione di animale”, il che significa che verrà processato per ciò che è, costituzionalmente e per definizione, il cacciatore: un uccisore di animali.
Tamara Sandrin e Rodrigo Codermatz
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