Un'affissione di grandi dimensioni situata in pieno centro città (Via Montereale, parcheggio Ospedale Civile) con lo scopo di far riflettere le persone sul fatto che gli animali “da fattoria” non hanno nulla di diverso da quelli cosiddetti "d'affezione"; il manifesto mostra da un lato le immagini di un cane e di un gatto e dall’altro quelle di una mucca, un maiale e altri animali, ponendo una domanda provocatoria: “Mangeresti il tuo cane o il tuo gatto?”
Chiunque inorridirebbe nel trovarsi nel piatto il proprio animale domestico. Eppure nessuno pare gridare allo scandalo quando si tratta di mangiare parti di altri animali.
Non c’è una giustificazione razionale a questo comportamento, poiché queste due categorie (animali da compagnia e da reddito) sono state create dall’uomo e sono il risultato non di un’analisi oggettiva bensì di un modello culturale (non a caso, in altri paesi del mondo ci si nutre di carne di cane o di altri animali da noi considerati tabù) nato per rispondere a bisogni del tutto irrazionali: per poter assaporare il gusto di una bistecca, di una fetta di formaggio o di un uovo strapazzato, “cibi” del tutto superflui per la nostra sopravvivenza e frutto di sofferenza e di morte, ci siamo progressivamente autoconvinti che vi sia una reale differenza tra un cane e una mucca, che il primo stia bene sul nostro divano di casa mentre l’ultima sia destinata a nascere e a morire per finire sulle nostre tavole.
Chi vive con un cane o un gatto sa bene quanto essi siano animali intelligenti e in grado di provare gioia e dolore, tristezza e felicità. Non c’è oggettivamente nessuna differenza tra loro e tutti gli altri animali: anche mucche, maiali, galline, conigli ecc. sono individui senzienti, dotati anch'essi di un profondo attaccamento alla vita e un forte desiderio di libertà. Eppure, l’uomo riserva a questi animali un trattamento ben diverso rispetto a quello che noi riserviamo al nostro cane o gatto. Ad esempio:
i maiali, sia negli allevamenti intensivi sia in quelli cosiddetti “biologici”, vengono uccisi dopo un massimo di sei mesi, quando normalmente potrebbero vivere sino a 15 anni. In questo periodo sono costretti in uno spazio angusto, non vedranno mai luce naturale né toccheranno il suolo con le zampe. Non avranno opportunità di sviluppare alcun comportamento sociale né espletare alcuno dei loro bisogni primari;
le mucche da latte, sottoposte ad anni di selezioni genetiche, producono oggi circa dieci volte la quantità di latte necessaria per nutrire i propri vitelli: un abuso metabolico che ne consuma letteralmente il corpo. In natura vivrebbero fino a 40 anni, mentre in allevamento vengono avviate al macello dopo soli 7/8 anni, ormai usurate e meno produttive. Per produrre enormi quantità di latte destinate all’uomo, una mucca è costretta a partorire un vitello l’anno. I cuccioli sono allontanati dalla madre 1-3 giorni dopo la nascita e, se maschi, verranno ingrassati (con latte “finto” in polvere) e macellati a circa 6 mesi di vita. Le femmine invece saranno condannate alla stessa vita di schiavitù e sofferenza della madre, e alla stessa sua morte;
una recente investigazione dell’associazione Essere Animali sugli allevamenti biologici di galline ovaiole ha rivelato che gli animali vengono ammassati in spazi ristretti, risultano anemici, feriti, privati di ogni assistenza veterinaria. Alcuni vengono lasciati morti, in decomposizione, a contatto con tutti gli altri. A completare il quadro da film horror, sono presenti feci e urine ovunque, con il rischio di infezione e contaminazione delle uova. Queste galline sono destinate anch’esse al macello dopo circa 2-3 anni di sfruttamento. E una sorte ancora più terribile attende i pulcini maschi, non produttivi: poche ore dopo la nascita vengono gettati vivi in un tritacarne.
Le persone consumano carne, latticini, uova ed altri prodotti dello sfruttamento animale senza sapere, né voler sapere, che cosa comporti la loro produzione. E’ ormai chiaro che vivere senza consumare animali è possibile, e le ragioni vanno oltre la sofferenza animale: lo spreco di risorse alimentari e la loro iniqua distribuzione, ma anche l’inquinamento e la devastazione ambientale direttamente correlate alla produzione industriale di carne.
Noi pensiamo che ogni animale, indipendentemente dalla specie, dovrebbe poter vivere libero. Non ci sono giustificazioni per quello che stiamo facendo a miliardi di animali in tutto il mondo, dobbiamo prendere coscienza della questione e impegnarci per un cambiamento che non promuova la richiesta di una migliore qualità di allevamento ma che metta in discussione l’allevamento stesso. Non ci si può continuare a girare dall’altra parte, non ci si può continuare ad ingannare con giustificazioni. Ci auguriamo che questo manifesto possa far riflettere il maggior numero di persone possibili e possa essere uno stimolo importante verso il passaggio alla scelta vegan, l’unica in grado di porre fine alla sofferenza e alla morte di miliardi di animali.
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