Questa foto illustra il numero di un circo russo ma, naturalmente, non è la nazionalità che ci interessa, dato che i circhi con animali sono una realtà ancora tragicamente globale nonostante, per fortuna, sempre più paesi si esprimano a favore del divieto al loro utilizzo a fini di intrattenimento.
La situazione in Italia, tanto per cambiare, è particolarmente arretrata dal punto di vista legislativo e ben poco possono fare quelle amministrazioni comunali che, anche in mesi recenti, hanno tentato invano di vietare l’attendamento ai circhi con animali all’interno del territorio di loro competenza. Infatti, nella grande maggioranza dei casi, queste ordinanze di divieto non hanno resistito al vaglio del TAR o del Consiglio di Stato dopo il ricorso dei circensi che, ben consapevoli di avere la legge nazionale dalla loro parte, ne hanno quasi sempre ottenuto l’annullamento.
L’attività circense nel nostro paese è infatti regolata dalla legge 18/3/1968 n. 337 (G.U. 10/4/1968 n. 93), la quale all’art. 1 così recita testualmente:
“Lo Stato riconosce la funzione sociale dei circhi equestri e dello spettacolo viaggiante. Pertanto sostiene il consolidamento e lo sviluppo del settore.”
Di tutt’altro tenore la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Animale proclamata il 15 ottobre 1978 nella sede dell’Unesco a Parigi (solo dieci anni dopo la nostra legge nazionale), nella quale si può leggere quanto segue:
“Articolo 4
a) Ogni animale che appartiene a una specie selvaggia ha il diritto di vivere libero nel suo ambiente naturale terrestre, aereo o acquatico e ha il diritto di riprodursi; b) ogni privazione di libertà, anche se a fini educativi, è contraria a questo diritto.”
E ancora
“Articolo 10
Nessun animale deve essere usato per il divertimento dell’uomo; b) le esibizioni di animali e gli spettacoli che utilizzano degli animali sono incompatibili con la dignità dell’animale.”
Naturalmente la Dichiarazione dell’Unesco non ha alcun valore giuridico, ma è nondimeno significativo che già nel 1978 si fosse riconosciuta a livello internazionale, e da parte di un’istituzione così prestigiosa, l’incompatibilità dell’attività circense con la dignità dell’animale. D’altra parte, quale mezzo migliore di un’immagine come quella riportata qui sopra per esprimere un concetto che non avrebbe nemmeno bisogno di spiegazioni, tanto risulta oggi evidente?
Chiediamoci inoltre per un momento, aldilà della preoccupazione legittima per la sofferenza degli animali coinvolti, quale può mai essere la funzione sociale di uno spettacolo che metta in scena il dominio e l’umiliazione del più “forte” sul più “debole”.
Che cosa potrà mai apprendere, in termini di educazione alla nonviolenza e al rispetto dell’altro (soprattutto se “diverso”), un bambino che venga esposto a uno spettacolo simile? La nostra sensibilità, per fortuna, è cambiata.
Oggi troviamo giustamente ripugnante l’utilizzo dei cosiddetti “fenomeni da baraccone” (i freaks) che animavano i numeri da circo di fine ’800 e gli animali, soprattutto quelli “esotici”, ci piace immaginarli nel loro habitat naturale.
A poco servono le giustificazioni dei circensi che sostengono di amare e trattare benissimo i propri animali i quali, essendo nati in cattività, non sarebbero adatti alla vita in natura.
Anche in questo caso, come in molti altri (si veda alla voce “sperimentazione animale”) si fa finta di non cogliere il punto fondamentale, che non è relativo al maggiore o minore “benessere” (inteso come relativo comfort e assenza di dolore fisico) dell’animale rinchiuso, ma alla sua condizione di prigionia cui è associata nel caso del circo un’attività forzata che non si può non considerare come una forma di schiavitù a tutti gli effetti: non si tratta, insomma, di essere più o meno amorevoli come carcerieri, ma di restituire agli animali nei circhi una libertà e una dignità di vita che non hanno mai avuto, e che è semplicemente incompatibile con il “lavoro” che gli animali prigionieri di queste strutture sono costretti a svolgere. Quanto all’inadeguatezza di questi animali a vivere in natura, si finge di ignorare l’esistenza di numerosi rifugi per animali, esotici e non, in Italia e nel mondo, nei quali individui sottratti a condizioni di prigionia possono finalmente vivere in condizioni di relativa libertà esprimendo a pieno la loro natura di esseri senzienti e relazionali.
Se non si è convinti del fatto che la violenza e la coercizione siano intrinsecamente e necessariamente legati all’attività dell’animale nel circo (a prescindere dall’adozione di metodi di addestramento più o meno “dolci” e a prescindere dall’”amore” che i carcerieri possano nutrire per i loro prigionieri, eventualità non solo da non escludere ma che probabilmente caratterizza la maggior parte di queste relazioni umano-animale), consiglio la lettura di innumerevoli documenti sul tema da parte di etologi, veterinari comportamentalisti, psicologi e studiosi delle tradizioni violente, categoria alla quale il circo appartiene senza se e senza ma. Per cominciare a rendersene conto, forse, basterebbe la visione di questo singolo video che documenta i movimenti stereotipati che questi animali spesso compiono, e che sono un chiaro sintomo di una condizione di stress, noia, angoscia permanenti.
I circhi con animali sono sempre più spesso bersaglio di presidi animalisti e di attività di contro-informazione volta a sensibilizzare la popolazione ancora ignara sul “lato oscuro” di questa forma di antiquato “divertimento”. Sarà forse perché quest’attività di sensibilizzazione capillare comincia a dare i suoi frutti se nei giorni scorsi alcuni dipendenti del circo di Viviana Orfei attendato a Pordenone hanno aggredito con inaudita violenza cinque attivisti appartenenti a due associazioni animaliste, animalisti FVG e LAV Pordenone, che stavano svolgendo un presidio pacifico a qualche metro dall’entrata del circo.
La vera e propria aggressione, avvenuta al culmine di una giornata carica di tensione nella quale i manifestanti hanno dovuto sopportare insulti e angherie di vario genere (qui la lettera aperta inviata da Daniela Galeota di Animalisti FVG a una televisione locale), se non è in alcun modo giustificabile, probabilmente è spiegabile con la sensazione di assedio che i circensi probabilmente cominciano a percepire a causa della crescente pressione delle campagne animaliste.
Nell’esprimere la nostra più completa solidarietà agli attivisti aggrediti e nel condannare senza riserve quest’aggressione di stampo squadrista e dal chiaro significato intimidatorio, vogliamo anche ribadire, se per caso ciò non fosse chiaro, che noi animalisti/antispecisti NON siamo contrari ai circhi tout court. Il circo è arte, intrattenimento, fantasia, divertimento, oltre a incarnare uno stile di vita itinerante che, aldilà di idealizzazioni romantiche che probabilmente poco hanno a che fare con la realtà spesso faticosa di chi sceglie questo mestiere, merita senz’altro di essere preservato dal conformismo dilagante.
Il punto è che non intendiamo più accettare supinamente che questo modello di vita, lavoro e intrattenimento si regga sulla riduzione in schiavitù e sullo sfruttamento di esseri senzienti nati per vivere liberi e in condizioni rispettose delle loro necessità individuali e di specie.
Le tradizioni mutano in continuazione e si evolvono spesso a seguito di cambiamenti nella sensibilità. E’ successo da sempre nella storia e continua ad accadere. Crediamo che anche il circo possa trovare dentro di sé la forza, le ragioni e le motivazioni per cambiare, per evolversi affrancandosi da modelli di relazione con gli altri animali legati a un mondo che non esiste più e che oggi provoca nella maggior parte delle persone un senso di rifiuto e di ingiustizia.
Noi non vogliamo la morte del circo, noi vogliamo che il circo liberi finalmente i suoi schiavi animali per tornare a essere, legittimamente, luogo di allegria, arte, libertà, anticonformismo, fantasia e divertimento.
Maria Giovanna Devetag
segretaria di “Parte in Causa”
Fonte: "Parte in Causa"
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